Se qualcuno chiedesse la rappresentazione plastica del male, Angelo Izzo forse supererebbe Hiter e Stalin nella gerarchia degli Anticristo in carne e ossa.
Eppure, quegli occhi vitrei e spaventosi, beffardi e ineludibilmente esultanti anche dopo l’arresto per la mattanza del Circeo, sono la coscienza cattiva di un Paese che non ha mai fatto veramente i conti con il suo passato.
Ha solo 67 anni, Angelo Izzo, in galera dal 75, tranne che per quella breve, tragica parentesi di libertà, ottenuta nonostante una personalità morbosamente antisociale e refrattaria a qualsiasi riabilitazione, in cui riuscii “nell’impresa” di aggiungere Maria Carmela e Valentina Maiorano, altre due innocenti vittime della sua necrofagia insaziabile, uccise per la sola colpa di esistere, al bilancio delle sue vittime.
Nato a Roma, il 1955, figlio di un ricco costruttore e di una professoressa di lettere, figlio di papà autentico, ribelle sin dai dodici anni al punto che lo stesso Msi a soli 14 anni, lo espulse insieme al suo sodale Andrea Ghira, sul quale bisognerebbe aprire una pagina a parte, Angelo Izzo è la narrazione delle nostre contraddizioni.
Criminale autentico e spontaneista, protagonista di attentati e rapine fatte per nichilismo esistenziale, iscritto al primo anno di medicina, Izzo, con Ghira e Gianni Guido, diede una svolta terribile alla sua immarcescibile vita il 29 settembre del 1975, quando in tre adescarono Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, usando la gentilezza apparente di pariolini, per seviziarle, drogarle, violentarle ripetutamente al Circeo, al punto di uccidere senza pietà la Lopez e di risparmiare (sol perché si finse morta) involontariamente la Colasanti. L’arresto e quel sorriso da ebete e da personalità deviata non scalfirono la sua arroganza. Ghira fuggi, mentre Izzo, nonostante avesse ingaggiato il principe del foro nazionale, l’ex ministro fascista Alfredo De Marsico, fu condannato all’ergastolo. Memorabile quel processo, con Tina Lagostena Bossi straordinaria antagonista di De Marsico e il peso del maschilismo e della forza di ceto che fecero temere per una soluzione “italiana”. Quindi, il periodo delle false collaborazioni, delazioni di un uomo senza empatia e poi ancora, il 2004, il duplice, terribile omicidio commesso in semilibertà. Fascista a modo suo, ma forse più giusto pariolino anaffettivo, psicopatico puro (nel senso di assoluta assenza di affettività) omosessuale, sposato con una giornalista, Izzo ha acuto quello sguardo allucinato che sembra rivitalizzare la teoria lombrosiana. Ghira non fece nemmeno un giorno di carcere, anche lui nel ventre della “Roma bene“, latitante, poi nella legione straniera, poi (forse) deceduto il 1994, mentre Guido ebbe incredibilmente le attenuanti generiche con una condanna a 30 anni che legge Gozzini e indulti hanno quasi dimezzato. Resta solo lui, in carcere, testimone di una cattiveria scientifica, pianificata, per cui schiacciare una formica o uccidere una quattordicenne porta lo stesso, inesistente senso di colpa. Non è nemmeno detto che esca morto dal penitenziario di Velletri, anche se gli mancano le cambiali dei De Pedis o dei Carminati. Perché siamo in Italia, un paese che sa essere inflessibile con i piccoli criminali e poi lascia aperte le fessure da cui escono i suoi fantasmi, con gli occhi perennemente in fuori e l’anima in macelleria.
Giornalista*
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