A Pontida la Lega, mettendo al centro del proprio programma elettorale l’Autonomia Regionale a danno del Sud; ha buttato giù la maschera. Sul Mezzogiorno, si continua a tentennare. In questi mesi addirittura si è aperta nel Paese, una forte contraddizione tra gli obiettivi, che l’Europa assegna all’Italia attraverso il Pnrr e la richiesta, proveniente da alcune regioni del centro-nord e sostenuta da una parte politica, di una autonomia differenziata che contrasta fortemente con la visione solidarista dell’Europa post pandemia. Infatti, se da una parte Bruxelles chiede al nostro Paese di porre la massima attenzione sui temi della convergenza territoriale e della coesione sociale e invita la politica e le Istituzioni ad intervenire, per risolversi, sulle problematiche ancora aperte del divario territoriale tra il Sud e il Nord del Paese- divari nelle infrastrutture, sanità, trasporti e scuola solo per fare alcuni esempi- che ogni anno contribuiscono a determinare l’uscita dal Mezzogiorno di circa 130 mila abitanti; dall’altra parte c’è , invece, l’idea di una certa politica e la pretesa incostituzionale di alcune regioni di disporre in autonomia di più competenze e più risorse, andando ad indebolire le regioni più fragili del Paese. In questo progetto di autonomia differenziata, portato avanti in questi anni e sul quale probabilmente dopo il 25 settembre una certa politica proverà ad accelerare, si continua a non voler discutere della parte della Carta costituzionale, che è di più interesse per le regioni del sud: perequazione, tassazione locale, definizione, appunto, dei Livelli Essenziali delle Prestazioni. Mentre, si prova, a spingere la discussione sugli aspetti della riforma costituzionale che stanno più a cuore alle aree più forti del Paese: calcolo dei costi standard, autonomia fiscale, che ha prodotto quest’ultima negli anni una progressiva riduzione delle rimesse statali in favore dei territori del Sud. Di recente sul Mezzogiorno la Banca d’Italia e non un incallito meridionalista, nel suo rapporto annuale ha sottolineato che, soprattutto nel periodo compreso tra il 2010 e 2020, nel nostro paese si è realizzata una perequazione nella distribuzione della spesa pubblica nazionale che ha penalizzato i comuni del sud. Nella versione integrale della relazione troverete lo stralcio del rapporto annuale della Banca d’Italia che chiarisce il modo inequivocabile, come ormai la ingiusta distribuzione delle risorse statali tra nord e sud non appartiene al libro delle leggende metropolitane, ma è invece una reale condizione del nostro paese che rischia di ottenere un definitivo riconoscimento istituzionale. Nelle analisi della Banca d’Italia è evidente il fatto che per mettere in atto un graduale azzeramento dei divari tra il Nord e il Sud del paese il Pnrr da solo non basta, ma all’attuazione del Piano occorre abbinare una efficace spesa delle politiche di coesione 21/27 e un non più rinviabile riordino nella distribuzione della spesa statale, che partendo dall’assunto che le risorse europee devono essere complementari e non sostitutive delle risorse nazionali, sappia mettere fine alle storture prodotte nei bilanci degli enti territoriali meridionali dalla legge sul federalismo fiscale, la famigerata 42/09. La 42/09, che ha come punto centrale il criterio della spesa storica, ha finito per garantire i servizi essenziali di cittadinanza dove c’erano già e ha invece cristallizzato l’assenza degli stessi nelle regioni del sud. La legge sul federalismo fiscale non è solo incostituzionale ma addirittura si scontra con lo stesso Pnrr, dato che l’arretratezza dei Lep nel mezzogiorno è stato uno degli indicatori che ha permesso all’Italia di strappare in Europa la quota più alta del finanziamento di Ngeu. *Segretario Uil Calabria
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