Il problema è la forza della proposta che si vuole realizzare; non è il taglio politico, stretto o largo che sia. Bisogna capire se il progetto della governabilità in questa nostra terra di Calabria è soddisfacente e innovativo, oppure ricalca la storia delle promesse fatte e non mantenute.
Governare non significa criticare il passato o non volerlo considerare. Governare è essenzialmente garantire la proposta politica fatta in campagna elettorale, che sia più che contrattuale: io cittadino ti do il consenso perché tu realizzi gli impegni assunti!
Sostanzialmente è l’opposto di quanto si è fatto finora, a cominciare da quando il consenso è stato frutto della spartizione politica per evitare che qualcuno arraffasse tutto ciò che c’era da prendere. Un modo di agire non catalogabile con la politica, specie in una regione storicamente isolata, negata di tutto, impoverita e abbandonata.
E, infatti, non è un caso se in Calabria siamo giunti al “redde rationem”, sia perché la crisi economica avanza impietosa e determina il progredire del precariato, sia perché siamo agli ultimi posti per occupazione. Condizioni grazie alle quali si spera che ci si possa svegliare dal torpore di decenni di vita non vissuta, durante i quali siamo stati costretti a rimanere al palo, lasciando che altri prendessero tutto ciò che c’era da arraffare.
Se solo in questa nostra regione si riuscisse, una volta per tutte, a comprendere cosa è il tempo perduto; se solo si riuscisse a dare un segnale perché questa Terra possa essere trattata alla pari delle altre regioni, le condizioni sarebbero diverse e migliori per tutti.
Non è pensabile che il Pil pro capite segni un 42.300 euro in Trentino Alto Adige o un 38.200 euro in Lombardia e in Calabria solo il 17.100 euro di media pro capite. Una distanza siderale assurda tra territori dello stesso Paese che il Governo centrale avrebbe l’obbligo di intervenire e sanare.
La Calabria possiede ricchezze naturali mai sfruttate che avrebbero potute essere fonte di benessere. E, invece, grazie alla “subalternità” che ci contraddistingue e alla povertà, è stato fatto l’impossibile per non farci considerare, per essere abbandonati mentre altrove fiorivano e fioriscono sia le possibilità di lavoro che le retribuzioni. Ci siamo fatti sopraffare da dicerie strumentali e, in qualche caso, anche infamanti. Ci siamo lasciati coinvolgere dal provincialismo più gretto, quello conflittuale determinato da una stupida concorrenza interna tra le provincie; ma forse sarebbe meglio dire da ridicola rivalità che non ha sortito nulla di importante, se non per determinare un odio che ci annovera tra quel modo insensato di vedere le cose sotto l’effetto del “perché a lui sì e a me no”.
Così siamo stati capaci di perdere persino le nostre prerogative, i frutti di una operosità forse anche irripetibile, che avrebbero potuto cambiare la storia della Calabria e il destino di migliaia di calabresi.
Ma forse qualcosa è ancora possibile recuperarla. Decidere, per esempio, di razionalizzare gli interventi, lasciando all’industria le zone in cui il settore è avviato e restituendo al turismo estivo le spiagge lungo le coste dei nostri due mari, curandole e rendendole competitive con quelle delle altre regioni. Ma ci sarebbe anche tanto altro da curare e da riproporre con rinnovato vigore, le strutture termali di cui la Calabria dispone, grazie alle diversità organolettiche e curative delle loro acque.
In Calabria ci sono ricchezze naturali mai sfruttate in ossequio a quel principio deleterio della subalternità cui siamo stati abituati e che ci fa muovere a tentoni. Lo dimostrano i risultati che, in condizioni diverse, sarebbero stati proficui per tutti. Condizioni che in questa terra periodicamente si ripetono per poi essere dimenticate, come se il passato fosse stato vissuto da altri. Ricchezze mai sfruttate che, invece, avrebbero potuto restituire benessere; ma nell’ ”opulenta” Calabria si è preferito abbandonarle senza tenere in conto il destino della regione e le condizioni di vita dei calabresi. E se fosse, invece, proprio questo il momento per far ripartire il dibattito sulla “governance”? Come avviene in gran parte d’Europa. Su quelle regole c’è la necessità di una approfondita riflessione sia per quanto riguarda l’economia sia per “equipaggiare” il futuro. Potrebbero essere le condizioni per restituire alla Calabria quelle certezze che le sono state negate. Nulla, però, accade per caso. Sarebbe opportuno che con l’approssimarsi di una scadenza elettorale la popolazione si facesse sentire, mettendo da parte per qualche settimana l’ideologia politica e fare quadrato per sostenere il diritto alla vita e al cambiamento di questa nostra Terra.
*giornalista
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