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Il delitto coperto per 17 anni da «depistaggi e omertà» e una verità ancora da scrivere per intero

La Procura di Cosenza: «La rete di protezione sull’omicidio di Lisa Gabriele stenta ancora a cadere». Abate “l’evanescente”, «violento, instabile e brutale». E quell’intercettazione: «Alla fine la …

Pubblicato il: 25/10/2022 – 18:43
di Pablo Petrasso
Il delitto coperto per 17 anni da «depistaggi e omertà» e una verità ancora da scrivere per intero

COSENZA Una città di provincia, una morte archiviata come suicidio. Segreti che si stagliano sullo sfondo, festini a base di droga e sesso, una giovane ragazza ossessionata da un poliziotto violento, inaffidabile, legato ad ambienti massonici. “L’evanescente” Maurizio Abate (soprannome coniato dai suoi colleghi della Stradale per tratteggiarne l’impegno sul lavoro) è l’uomo nero di una trama che pare presa da una serie tv ma è più amara perché reale. Come «i depistaggi, le omertà, le ambiguità emerse nel corso delle indagini» e segnalata nell’ordinanza del gip del Tribunale di Cosenza Letizia Benigno. Attorno all’omicidio di Lisa Gabriele sarebbe stata eretta «una rete di protezione e reticenza, di dubbia natura», che «ha accompagnato tutte le fasi dell’indagine e stenta ancora oggi, a distanza di molti anni, a cadere». Ancora tante le «contraddizioni in cui molti dichiaranti sono incorsi e dal ricorso allo stesso esposto anonimo da parte di chi ritiene di volere o poter far luce su un omicidio irrisolto». L’inchiesta che ha portato all’arresto di Abate è, nelle intenzioni degli inquirenti guidati dal procuratore Mario Spagnuolo, quasi il prologo. Non si esclude, infatti, che «le successive fasi procedimentali, e soprattutto quella dibattimentale possano fare piena chiarezza su aspetti e posizioni trasversali, quali appaiono essere quella di Fabrizio Abate e Pietro Verdelli, oppure indurre coloro che sanno a rivelare cose e circostanze finora taciute». Non è finita, insomma, come si dice esplicitamente nel capo di imputazione a carico dell’ex poliziotto, presunto omicida «in concorso con persona rimasta ignota». Per Abate, scrive il gip, la misura del carcere si impone per via delle «amicizie, connivenze e colleganza anche massonica con molti di coloro che erano e sono tuttora in grado di riferire circostanze utili a fare luce» su quella morte. 

Abate «violento, instabile e brutale», la descrizione del gip

«Militare inaffidabile, sospettato di inadempienze (…), persona dedita a una vita sregolata, sessualmente trasgressivo, violento, portato alla menzogna, instabile e brutale». Questo quadro, per quanto fosco, «non sarebbe forse sufficiente ai fini dell’applicazione di una misura cautelare» a carico di Maurizio Abate, ex agente della Polizia stradale di Cosenza accusato dell’omicidio di Lisa Gabriele dalla Procura guidata a Mario Spagnuolo. Sono «i fatti successivi fotografati dalla nuova fase delle indagini» e cristallizzati nell’ordinanza del gip a confermare «la persistenza di quelle caratteristiche, le stesse che l’hanno condotto a compiere l’omicidio di Lisa e che potrebbero portarlo anche oggi a commettere analogo reato». 
Nella turbolenta relazione con la sua ultima compagna, Abate sarebbe giunto «in due occasioni a tentare di strozzarla o strangolarla. Si tratta di una circostanza che porta a rammentare inevitabilmente che la morte di Lisa Gabriele venne causata da un’asfissia meccanica e che un referto stilato precedentemente, in occasione dell’ingresso della ragazza in ospedale il 15 agosto 2003 dopo il brutale pestaggio da parte di Abate, reca la diagnosi di “lieve eritema al collo”».

Il rapporto con la compagna. «Mauri’, in un secondo ti faccio arrestare»

Dalle conversazioni intercettate emergono minacce di morte, allusioni «a un qualche coinvolgimento di Abate in affari illeciti» e una voglia di rivalsa della donna, che “promette” all’ex agente di raccontare ai carabinieri quello che sa sulle sue attività («mamma mia come me la canto quando mi interrogano»). Il 21 settembre 2019 il proposito viene ribadito: «Mauri’, giuro che ti faccio prendere trent’anni (…) guarda che io oggi in un secondo ti faccio arrestare (…) se non chiamo direttamente i carabinieri (…) e sai che racconto tutto quello che so». Più di un mese dopo, le cimici degli investigatori registrano «una lite accesa» nella quale si «innesca un tentativo di strangolamento estremamente indicativo di quanto Abate sia capace di fare». Questi comportamenti «rendono – per il gip Letizia Benigno – evidentemente attuale il rischio di reiterazione di condotte analoghe». Così come esisterebbe lo stesso rischio «relativamente alle condotte di cessione di stupefacenti» contestate ad Abate dalla Procura. Tant’è che «il coinvolgimento in possibili traffici di droga» arriverebbe anche da una «precisa confidenza di Lisa Gabriele» a suo padre Romano. L’uomo ha infatti «precisato che la presenza di Lisa era necessaria a Maurizio Abate per dissimulare la natura del viaggio (si tratterebbe di viaggi da o verso Napoli per trasportare droga, ndr) e superare i controlli da parte delle forze dell’ordine». 

Intercettazioni e contraddizioni. «Alla fine la cazzata l’ho fatta»

Negli atti d’indagine ci sono conversazioni che gli inquirenti evidenziano come segnali di contraddizioni nella versione offerta nel corso del tempo dall’indagato, che ha sempre negato il proprio coinvolgimento nell’omicidio. Parlando con la sua compagna, nel febbraio 2020, «ed esternando la sua preoccupazione per i possibili esiti della riapertura del caso, Abate si lascia andare in una considerazione di questo testuale tenore: “Alla fine la cazzata l’ho fatta”», espressione che l’ordinanza di custodia cautelare non chiarisce ulteriormente. Frasi come i tasselli di un mosaico. Nel 2005, nei giorni della convocazione per l’escussione a sommarie informazioni testimoniali, Abate è non solo preoccupato («come pure potrebbe considerarsi normale»), ma il 12 aprile 2005, dopo la convocazione in Procura, «si rivolge al cugino presente vicino a lui e gli riversa tutta la sua preoccupazione». «Se si spezza la corda paghiamo tutti e due», dice. Gli inquirenti si soffermano anche sul ruolo «opaco» del cugino di Abate (non indagato) ed estendono il ragionamento a «coloro che sapevano e molto probabilmente sanno molto di più di quanto non abbiano rivelato».
Gli investigatori ipotizzano, tra l’altro, che l’autore dell’esposto inviato nel 2019 alla Procura della Repubblica di Cosenza che ha consentito la riapertura delle indagini sul conto di Abate, possa essere stato un collega dell’ex poliziotto. Una persona che era a conoscenza, oltre che della relazione di Abate con Lisa Gabriele, di molte circostanze riguardanti la sfera privata e personale dell’uomo.
«Pisciaturo di merda: ti dovevo lasciare morire quella sera», dice in una conversazione intercettata il cugino dell’ex poliziotto. «Quella sera» è, per gli investigatori, un riferimento alla notte dell’omicidio di Lisa Gabriele. «Mamma mia! Io non lo so perché non sta dentro questo ancora! (…) Ma non gli dovevano proprio permettere di uscire, doveva aspettare in carcere il processo». (p.petrasso@corrierecal.it)

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