MILANO Sembra un revival criminale. Una scena da film anni Settanta con due uomini della mala a confronto per questioni di controllo del territorio. Messaggi cifrati, amicizie mafiose messe sul tavolo come sul tavolo si gettano le carte a poker. Il teatro è Milano e il dialogo pubblicato dal Fatto Quotidiano arriva dall’informativa finale, firmata dalla Squadra mobile, dell’inchiesta sul “ritorno” del clan Maiolo a Pioltello. Il focus è sull’incontro tra Cosimo Maiolo, presunto boss del rinnovato “locale”, e Carlo Ritrovato. Ritrovato, 62enne di Caltagirone, non è indagato nell’inchiesta. Avrebbe, però, un passato criminale notevole: anni di galera, segnala il Fatto, e precedenti «per associazione a delinquere, rapina, omicidio doloso, sequestro di persona a scopo di estorsione, truffa, porto abusivo d’armi, stupefacenti». Oggi è un uomo libero, gestisce un bar-caffetteria e finisce negli atti per via del proprio interessamento agli affari di una carrozzeria che sarebbe stata gestita nel corso degli anni attraverso prestanomi dalla famigli Maiolo. Ora c’è un nuovo titolare che deve pagare debiti per la vecchia gestione, circa 10mila euro.
Ritrovato si incarica della questione. Chiede a un compaesano di incontrare Maiolo. Il boss originario di Caulonia non gradisce e spiega al contatto: «Lui (Ritrovato, ndr) deve fare che dove sono paesani miei non si deve inserire perché (…) sono cazzi della famiglia mia, lui è catanese e deve stare tra i catanesi e si va a sbrigare i cazzi di casa sua, a casa nostra non si deve permettere nemmeno di entrare». Mentre l’amico prova a spiegare che si tratterà di un incontro amichevole, Maiolo – che non ha alcuna intenzione di pagare – insiste: «Io sai quanto ci metto a prendere a questo? Cinque minuti e a Cinisello lo faccio fare una merda, sai come lo faccio fare? Polvere, polvere sopra la polvere (…) Ti sembra che qua abbiamo fatto 30 anni di carcere per indebolirci (…). Se ci eravamo indeboliti ne facevamo due anni di carcere non 30».
I propositi sono bellicosi, l’incontro in una pasticceria di Pioltello è una partita a scacchi. Maiolo non cambia i toni: «Qua fino a prova contraria ci sono gli amici (…). Loro sanno chi sono, lei non lo so. Ma chi sono i miei, prima sanno da chi passare, a me imbasciate non ne sono arrivate». Ritrovato, tuttavia, non si lascia intimorire: «Ma noi ci conosciamo ed è meglio così, quanto meno sappiamo la famiglia che siete voi e sapete voi chi siamo noi». Il catanese parla delle proprie amicizie in Calabria con «la potente cosca dei Morabito di Africo che vede al vertice Giuseppe Morabito inteso Tiradritto». Ritrovato: «Peppe Sculli, Giovanni Morabito? Dov’eri (in carcere, ndr) con lui insieme? Con Giovanni?». Maiolo: «Ma con tutti, con Giovanni, con tutti». Ritrovato: «Si ma io sono imparentato con loro proprio, io sono in società con loro». Maiolo: «Lui sa chi siamo noi e come ci comportiamo, fin quando andiamo con l’onestà».
Certe conoscenze non vengono mai citate a caso. E i Fatto ricostruisce vicinanze che – partendo da un bar – legano, in effetti, il catanese ad ambienti considerati vicini al clan di Africo. Quell’amicizia non pare una millanteria. E rende ancora più importante il contenuto dell’incontro. In certi casi basta una parola sbagliata per scatenare reazioni imprevedibili. L’interlocutore esordisce con quel «loro sanno chi sono io » e Ritrovato continua a spiegare perché abbia chiesto di vedere Maiolo: «Esatto, era proprio per questo motivo, allora io ho premesso una cosa, ma questo è proprio come carattere, non vado mai nella casa degli altri a vedere cosa fanno e cosa non fanno, io non disturbo nessuno, il motivo è perché non voglio essere disturbato anch’io, quindi alla stessa maniera che rispetto gli altri voglio essere rispettato». Il boss originario di Caulonia prima dà un’occhiata ai documenti della società, poi dice: «Se no io ho detto non venivo qua a ragionare, la ragionavamo in un’altra maniera». Ritrovato, nuovamente, non si scompone: «Assolutamente sì, ma la cosa è reciproca». A questo punto interviene l’intermediario: «Carlo non parlare avanti». Ritrovato: «Ma no la cosa è reciproca, come la ragiona lui la ragiono io, se vogliamo essere amici ci rispettiamo, se non vogliamo essere amici non ci rispettiamo non è che è questo il problema». Alla fine, è la chiosa del Fatto Quotidiano, arriva un accordo che evita quella che sarebbe potuta essere una faida.
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