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IL CONTRIBUTO

«Siamo tutti soggetti alla legge»

Io me lo ricordo quel 24 ottobre 1989 nel quale entrò in vigore il nuovo codice di procedura penale.  Sin da un lontano passato era stato preceduto, quel codice nuovo di zecca, da numerosi te…

Pubblicato il: 02/02/2023 – 10:18
di NUNZIO RAIMONDI
«Siamo tutti soggetti alla legge»

Io me lo ricordo quel 24 ottobre 1989 nel quale entrò in vigore il nuovo codice di procedura penale.  Sin da un lontano passato era stato preceduto, quel codice nuovo di zecca, da numerosi tentativi di riforma del già vetusto codice Rocco e da un incessante dibattito che aveva visto, su fronti contrapposti, Magistratura e Avvocatura. C’era stato un sussulto d’orgoglio anche dalla dottrina processualistica italiana: ricordo l’entusiasmo dei grandi protagonisti di quell’epoca: Giandomenico Pisapia, Delfino Siracusano, Oreste Dominioni, Giulio Illuminati, Vittorio Grevi, Marcello Gallo e tanti altri. E ricordo quel brindisi, in una calda sera d’estate, su una bella nave veleggiante dinanzi alla costiera amalfitana, con le parole del grande maestro della procedura penale italiana, Giovanni Conso: ”indietro non si torna”. Era un clima di grande passione e, per noi giovani, di eccitazione, per esserci accostati ad una svolta storica per il diritto penale processuale democratico italiano. Finalmente un processo più conforme alla Carta, la cui luce ora spandeva i suoi raggi sull’uomo e sul “mistero del processo”. Ma proprio allora cominciarono i problemi. Una resistenza culturale della Magistratura ad adeguarsi al nuovo che prepotentemente avanzava, una inadeguatezza dell’Avvocatura che non comprendeva fino in fondo la portata della riforma… insomma tutto congiurava contro l’utopia di pochi solitari veggenti. E si scatenò una sorta di cecità giurisprudenziale, presentata con toni di realismo e concretezza, per opporsi al nuovo mediante una sorta di congelamento del passato, una trincea contro il progetto riformatore. Certo,come sempre, le grandi riforme vanno adeguate ai tempi, in un certo senso esse vanno ruminate e conformate al sistema pregresso sul quale s’innestano… Ma allora non fu così: serpeggiò per lungo tempo un’avversità preconcetta e la giurisprudenza, perfino quella costituzionale, mostrò il suo volto peggiore, fatto di tossine d’inquisitorietà più o meno manifesta. Una vera e propria avversione alla legge, intollerabile in uno stato democratico. Ecco, vedete, in questi giorni, dopo l’entrata in vigore della “famigerata” riforma Cartabia, ho riavvertito il brivido di quell’ostilità; ed ora che non sono più giovane, non lo sopporto, perché i magistrati sono soggetti alla legge e non possono sterilizzarla soltanto perché essi non sono pronti al cambiamento. Come allora, anche oggi, il dibattito rimase libero ed aperto, ma gli errori non si ripetono e “indietro non si torna”. Alla giurisdizione non può essere consentito d’ignorare la legge o, peggio, di costruire interpretazioni che la contrastino apertamente. Oggi occorre arrestare questa deriva: la legge, fino a quando vige, si rispetta anche se non piace o non conviene, anche se impone il sacrificio di studiarne i contenuti e farne propria la ratio. In uno Stato democratico si deve rispettare il Parlamento, titolare del potere legislativo espressione della sovranità popolare; nessun altro potere può obliterarlo. Forti dell’esperienza del passato occorre quindi che l’Avvocatura, anche quella a buon diritto critica verso questa riforma, si adoperi per fare (e far fare) giusta applicazione di questa legge dello Stato. Anche nel nostro giuramento di Avvocati, infatti ,è scritto di rispettare l’ordinamento nell’esercizio della dignità della Professione Forense. Nel ché poi di sostanzia la nostra missione: proteggere e difendere i cittadini mediante l’applicazione coerente delle leggi. E sia detto a chiare lettere: non è dato a nessuno, nel rispetto dei ruoli di ciascuno (i quali mutano proprio in ragione delle leggi che li governano), di oltraggiare le leggi, con mille artificiali interpretazioni o, peggio, attraverso una colpevole dissimulazione. E non si pensi che questa storia si arresti in vacui ammonimenti: esistono le norme per sanzionare chi agisce in tal guisa e non è detto che qualche “kamikaze” non s’ardisca d’applicarle.

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