Skip to main content

Ultimo aggiornamento alle 23:51
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 5 minuti
Cambia colore:
 

inchiesta “ultimo atto”

I guadagni illeciti dei cirotani nella “cassa comune” per pagare agli avvocati «manate di soldi»

La paura dopo gli arresti in “Genesi”: «L’avvocato è il prossimo». La bacinella per le spese delle famiglie. Negato il viaggio in aereo per andare a trovare i detenuti: «Le ho ficcate in un treno»

Pubblicato il: 16/02/2023 – 18:30
di Alessia Truzzolillo
00:00
00:00
Ascolta la versione audio dell'articolo
I guadagni illeciti dei cirotani nella “cassa comune” per pagare agli avvocati «manate di soldi»

CROTONE I soldi delle attività illecite confluivano nella bacinella e legavano tra loro i componenti della cosca come un’unica famiglia. Pagavano il sostentamento dei detenuti e delle loro famiglie, gli onorari degli avvocati e gli “stipendi” degli affiliati. Come in tutte le famiglie bisogna fare economia domestica. Per esempio, a febbraio 2020 viene intercettata una conversazione tra Giuseppe Cariati, 62 anni, Gianluca Scigliano, 44 anni, e Luca Frustillo, 38 anni, nel corso della quale i tre (ritenuti gli organizzatori del locale di Cirò dopo l’arresto dei vertici nel maxi blitz “Stige”) – tratti in arresto nel corso dell’operazione “Ultimo atto” di questa mattina – commentano l’impossibilità di aderire alla richiesta avanzata da un familiare di qualche detenuto di recarsi a colloquio prendendo un aereo. I tre indagati affermano che non possono permettersi di pagare il viaggio aereo per chi vuole andare a colloquio con il congiunto detenuto perché bisogna poi occuparsi di pagare anche la tratta dall’aeroporto al carcere. Secondo gli interlocutori l’alternativa migliore è quella di viaggiare con gli autobus interregionali o col treno.  
«Le ho ficcate in un treno – dice Scigliano rivolto a Cariati –… due femmine sole… sono scese a Taranto… sono scese a Bologna… voglio dire… che non si può fare con l’aereo Pe’! ci vogliono mille euro». Secondo gli inquirenti queste conversazioni fanno «intendere chiaramente che è l’organizzazione criminale che utilizzando i soldi della cosiddetta “cassa comune” provvede a pagare le spese che i familiari sostengono per recarsi a colloquio con il congiunto detenuto».

I soldi alle famiglie dei detenuti

Secondo i magistrati della Dda di Catanzaro, Domenico Guarascio, Paolo Sirleo e Pasquale Mandolfino, che hanno coordinato l’inchiesta le risultanze delle intercettazioni sono «la chiara dimostrazione che una delle regole fondamentali ed universali della ‘ndrangheta è quella di provvedere al sostentamento dell’affiliato detenuto e della sua famiglia, attraverso i proventi degli affari criminali che affluiscono nella cosiddetta “cassa comune”».
Per esempio Gianluca Scigliano e Luca Frustillo si mettono a disposizione del figlio di uno degli arrestati i Stige –che doveva partire per lavorare a bordo di navi mercantili – nel caso in cui la madre malata di tumore avesse necessità di essere portata a visita o per andare a fare colloquio col marito detenuto. Inoltre la cosca si preoccupa di fornire soldi alla famiglia dell’affiliato detenuto ogni mese anche se a volte il mese potrebbe saltare, come spiega Luigi Vasamì, 61 anni, considerato il reggente della cosca dopo l’arresto dei vertici dei Farao-Marincola: «… questo mese… forse lo saltiamo pure… paghiamo il prossimo mese poi!».

I soldi della bacinella per gli avvocati

Certamente la spesa maggiore per la cassa comune è il pagamento degli avvocati.
Un esempio plastico di questo fatto, raccontano le carte dell’inchiesta della Dda di Catanzaro che questa mattina ha portato a 31 misure cautelari, è una conversazione captata il 27 giugno 2020, all’indomani dell’arresto del commercialista Claudio Schiavone nell’ambito dell’operazione “Genesi”, tesa a svelare un sistema corruttivo tra giudici, avvocati e professionisti all’interno degli uffici giudiziari di Catanzaro. «… gli affiliati Luigi Vasamì, Giuseppe Cariati, Gianluca Sigliano, Luca Frustillo e Ottavio Marincola, commentano quanto appreso facendo chiaramente emergere dalla conversazione che è l’organizzazione criminale cirotana che provvede al pagamento degli avvocati di fiducia degli affiliati detenuti, naturalmente con i soldi della “cassa comune”, nonché di ogni spesa processuale necessaria utile ai fini del buon esito processuale», scrivono i magistrati nella richiesta di misure cautelari.
«Hai visto che cazzata che abbiamo patito, che le perizie non valgono più?!», dice Giuseppe Cariati riguardo al fatto che Schiavone era perito nel Tribunale di Catanzaro.
Gli indagati pronosticano il prossimo arresto di un legale e in seguito ipotizzano il coinvolgimento nelle indagini anche di altri avvocati del foro di Catanzaro: «Tutti in quella corrente erano».
Si preoccupano che «I periti, i periti, le perizie non valgono più?!»
«Ed i soldi che… ci hanno fregato, come facciamo?!», dice Luca Frustillo, il quale, «in considerazione che si prevedono ulteriori coinvolgimenti ed arresti di altri legali propone di non dare loro più soldi, che altrimenti sarebbero andati persi e, anche se questi non venissero arrestati, poiché c’è da ritenere che non avrebbero più vinto alcun processo, era necessario “cacciarli”».
«Non gliene diamo i soldi più a questi ohi Gì…», dice mentre Vasamì e Cariati frenano «dicendo di “non affrettare le cose”» anche perché uno degli avvocati, quello che dovrebbe essere il «prossimo» arrestato ha già «avuto da loro, “due manate” di soldi». Frustillo aggiunge alle “due manate” anche “gli altri” denari che hanno già sborsato.
«E allora… non paghiamo più!», dice Vasamì.
Giuseppe Cariati, per sottolineare l’enorme guadagno degli avvocati da loro pagati per la difesa degli affiliati detenuti, «fa menzione al lussuoso studio, in un palazzo del Settecento, che uno di essi ha anche a Roma e Luca Frustillo racconta, che nell’occasione in cui vi sono stati per portargli dei soldi, ha chiesto a Giuseppe Cariati, se “loro lì potevano entrare”, e Cariati gli aveva risposto che “con i soldi poteva andare dove voleva!”».
In una occasione Frustillo racconta di essere andato da un avvocato a «portare i soldi». Parlano di Silvio Farao, detto “Sciù”: «Lo hanno salato con i cazzi… poverino allo “Sciù” che lo tengono chiuso in una cosa… in una gabbia di conigli!». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

Argomenti
Categorie collegate

x

x