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la requisitoria

‘Ndrangheta, la strategia che cambia e il ruolo di Graviano e Filippone. «Un unico corpo con Cosa nostra»

Gli attentati ai carabinieri, «la prosecuzione e il completamento della strategia stragista» attuata «d’intesa» tra calabresi e siciliani

Pubblicato il: 24/02/2023 – 8:31
di Mariateresa Ripolo
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‘Ndrangheta, la strategia che cambia e il ruolo di Graviano e Filippone. «Un unico corpo con Cosa nostra»

REGGIO CALABRIA La ‘ndrangheta e Cosa nostra come un unico corpo, «una cosa sola». L’organizzazione criminale calabrese «agì, attraverso le sue componenti apicali, d’intesa con quella siciliana» segnando per sempre la storia d’Italia con la strategia stragista. Ben quattordici i punti – «i temi di prova» – trattati dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, nella prima parte del suo intervento per ricostruire e capire dinamiche e rapporti tra ‘ndrangheta, Cosa nostra ed esponenti politici, inquadrando la strategia stragista messa in atto in un preciso contesto politico: «quello dell’autunno del 1993, anno in cui – ha detto il magistrato – l’allora segretario del Pds, Achille Occhetto, vince le elezioni amministrative e parla come se non avesse avversari. E non ha avversari in realtà. Dopo qualche mese, l’avversario diventerà Forza Italia e abbiamo visto che, per voce unanime delle varie componenti mafiose, il sostegno elettorale a quel punto deve essere canalizzato su quel nuovo movimento politico». Davanti alla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria è iniziata la requisitoria del procuratore aggiunto del processo d’appello “’Ndrangheta stragista” che si sta celebrando a Reggio Calabria. Molto più di un «semplice» processo, secondo Lombardo, quello che vede alla sbarra il boss palermitano Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, ritenuto espressione della cosca Piromalli di Gioia Tauro, condannati in primo grado all’ergastolo per l’uccisione dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo nel 1994.

‘Ndrangheta e Cosa nostra un unico corpo

La prova del fatto che ‘ndrangheta e Cosa nostra fossero un unico corpo risiede, secondo Lombardo, anche in quella che è stata definita «doppia affiliazione». Un doppio filo che legava alcuni esponenti di spicco calabresi con quelli siciliani. Lo ha racconta il collaboratore di giustizia Girolamo Bruzzese, prima in una lettera indirizzata al procuratore aggiunto e poi in aula. Una “collaborazione” che ha definito “doppia affiliazione”, con riferimento a «Paolo De Stefano, Peppe e Mommo Piromalli, Nino Pesce, Pino Mammoliti, Luigi Mancuso, Pino Piromalli, Nino Molè, Nino Gangemi, qualcuno degli Alvaro». «Questi soggetti – ha raccontato – avevano un ruolo di vertice apicale anche nella mafia. Mommo Piromalli, che al tempo era al vertice di tutta la ndrangheta reggina, era tenuto molto in considerazione dai palermitani Bontate e Badalamenti». «I Piromalli e i De Stefano furono tra i primi in Calabria, come si evince dalle testimonianze di Buscetta, Vitale e Pennino, riprese in alcune sentenze, a ricevere la doppia affiliazione nella ‘ndrangheta e in Cosa nostra», ha spiegato Lombardo soffermandosi poi sul ruolo di Tommaso Buscetta: «Buscetta, per un periodo, fu “ambasciatore” presso i Piromalli per conto di Cosa nostra. Era stato inviato in Calabria per far attecchire la dottrina mafiosa».

La strategia organizzativa che cambia e il ruolo di Filippone

«La forza dei Piromalli e dei De Stefano scaturisce dalla vittoria della prima guerra di ‘ndrangheta, del 1974, a Reggio Calabria, contro il boss Mico Tripodo, e trasformano la ‘ndrangheta in quel mostro criminale che è oggi. In tal senso esistono riscontri non solo fattuali, ma storici e logici», ha sottolineato inoltre Lombardo. E c’è un momento in cui la strategia organizzativa della ‘ndrangheta cambia «a seguito del summit di Montalto, in Aspromonte, dell’autunno del 1969, nominando persone di strettissima fiducia al posto loro». Entra dunque in gioco, secondo Lombardo, la figura di Rocco Santo Filippone, che diventa «l’anello di congiunzione tra sodalizi ed esecutori materiali, il perno attorno a cui ruota la strategia stragista».

La strategia stragista

«La prosecuzione e il completamento della strategia stragista» sono rappresentati, secondo il procuratore Lombardo, dagli attentati ai danni dei carabinieri eseguiti a Reggio Calabria. «Una prosecuzione che era stata chiesta proprio da Giuseppe Graviano che, nelle intercettazioni in carcere con un altro detenuto, Umberto Adinolfi, e rispondendo alle domande del pubblico ministero di primo grado, dice che una determinata stagione stragista non si doveva fermare perché così gli era stato chiesto». Lombardo ha ricordato anche la frase del pentito Gaspare Spatuzza, al quale Graviano, nel corso di un incontro nel bar Donney di via Veneto, aveva detto: «Abbiamo il Paese nelle mani perché gli accordi che dovevo concludere li ho conclusi. Però dobbiamo accelerare la strage dell’Olimpico perché i calabresi si sono mossi». «Infatti – conclude Lombardo – il 18 gennaio del 1994 i calabresi si erano mossi uccidendo Fava e Garofalo e quell’incontro tra Graviano e Spatuzza certifica che qualcuno ha chiesto un ulteriore colpo, un’ulteriore eclatante azione di violenza anche in questo caso nei confronti di militari appartenenti all’Arma dei carabinieri. Cinquantacinque ne dovevano morire in un colpo solo all’Olimpico. Quando Graviano troverà la forza di dirci chi gli ha chiesto il proseguimento della strategia stragista già in atto, avremo un ulteriore tassello di verità. La certezza che siamo in grado di spendere in questa sede ci consente di dire che qualcuno glielo ha chiesto». 
La requisitoria di Lombardo proseguirà e si concluderà lunedì 27 febbraio. Per quel giorno davanti alla Corte d’appello reggina è stata organizzata manifestazione in sostegno del procuratore aggiunto.

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