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l’udienza

«Faremo fare una brutta fine a Gratteri e ai suoi. La ‘ndrangheta è nata prima della legge»

Il teste Antonio Mangone racconta in aula i dialoghi che ha ascoltato in carcere con i detenuti di Rinascita. Ferrante avrebbe detto: «In Calabria comandiamo noi come è sempre stato»

Pubblicato il: 20/03/2023 – 15:23
di Alessia Truzzolillo
«Faremo fare una brutta fine a Gratteri e ai suoi. La ‘ndrangheta è nata prima della legge»

CATANZARO «Quando sarà il momento faremo fare una brutta fine a Gratteri e ai suoi collaboratori. Noi siamo nati prima e comandiamo noi». Parole di disprezzo nei confronti del procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri e dei suoi magistrati le riporta Antonio Mangone, teste dell’accusa sentito questa mattina nel corso del processo Rinascita Scott. Mangone riferisce che in particolare Gianfranco Ferrante, imputato con l’accusa di essere organico alla cosca Mancuso di Limbadi, avrebbe riferito, discorrendo con gli altri imputati nel carcere di Siracusa: «Noi siamo una potenza, non siamo mica morti e col tempo tutti questi (riferendosi a pm e collaboratori) la pagheranno e faranno una brutta fine», avrebbe detto Gianfranco Ferrante. Lo stesso Ferrante, dice Mangone, originario di Cariati ma residente da tempo in un paese alle porte di Padova, avrebbe commentato in carcere le dichiarazioni di un pentito secondo cui una cosca di ‘ndrangheta aveva in mente di attentare alla vita del figli di Gratteri.
Il pm Andrea Mancuso richiama quanto reso a verbale da Mangone, ovvero quello che è stato, all’ epoca, il commento di Gianfranco Ferrante a proposito dei progetti omicidiari: «Se non lo hanno fatto loro lo facciamo noi. La ‘ndrangheta è nata prima della legge. In Calabria comandiamo noi come è sempre stato». Ma a mostrare disprezzo per il capo della Dda di Catanzaro non erano solo gli imputati coinvolti in Rinascita, dice Mangone: «C’erano altre cosche che parlavano male di Gratteri».
Antonio Genesio Mangone, 58 anni, non è coinvolto in Rinascita Scott e non è un collaboratore di giustizia. È stato coinvolto in un procedimento sulla presenza della cosca Grande Aracri in Veneto. Al termine del suo esame col pm, Mancuso ha chiesto al Tribunale che gli venga dato lo status di collaboratore e un programma di protezione per se e la sua famiglia. Una competenza, ha sottolineato il presidente del collegio, Brigida Cavasino, che non compete al Tribunale di Vibo Valentia ma ad altri organi. (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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