In “Natural Born Killers” di Oliver Stone uno dei protagonisti ad un tratto cita “Quell’italiano che ha intervistato Fidel Castro”. L’italiano è il giornalista Gianni Minà, l’intervista filmata durata 16 ore è la prova che il cronista Minà morto ieri a 84 anni era nell’immaginario mondiale.
Eravamo io, noi, Cassius Clay, Sergio Leone, Robert De Niro, “Gabo” Garcia Marquez al ristorante da “Checco il carrettiere” a Trastevere a Roma per una cena che nessun altro giornalista avrebbe mai potuto raccontare e organizzare al telefono mettendo insieme interlocutori di tal portata grazie a rapporti personali che illustrano la magnificenza del giornalista e dell’uomo molto verticale.
Politicamente scorretto ma leale ad un ideale di sinistra sempre coltivato con perfetta coerenza e che ne hanno creato grande ammirazione anche a chi professa idee di opposta area ideologica.
Nel 1978 ai mondiali di calcio d’Argentina chiede conto dei desaparecidos al capitano di vascello, Carlos Alberto Lacoste, capo organizzatore del Mondiale e cerca di indagare su quello che accade attorno agli stadi ricevendo un mandato di espulsione per aver ficcato il naso dove nessuno aveva voluto guardare.
Eravamo, io, noi, voi e Maradona, il comandante Marcos, gli scrittori sudamericani, il premio Nobel Rigoberta Manchu, Pietro Mennea, i popoli dannati della terra che aveva sempre privilegiato in racconti mediatici che trasudavano passione e appartenenza e che ne trovano sintesi nel suo libro “Un mondo e migliore è possibile” tradotto in molte lingue e che diventò breviario popolare del Forum di Porto Alegre. Ha costruito il miglior film e il miglior documentario su Ernesto Che Guevara. Nelle sue interviste manca solo Nelson Mandela ma ci aveva provato ad averla. Ha sempre rifiutato i soldi facili.
Torinese di nascita, napoletano di appartenenza, molto legato a Maradona, Troisi e Pino Daniele, De Magistris gli ha dato la cittadinanza onoraria partenopea. Aveva iniziato a Tuttosport e ne sarebbe diventato direttore, perché nello sport spesso si formano i migliori giornalisti.
Ha seguito otto mondiali di calcio e sette olimpiadi, numerosi mondiali di boxe lasciando il segno su quelli epici vinti da Muhamed Alì.
Documentarista di pregio, ha vinto premi cinematografici e giornalistici in tutto il mondo.
Maurizio Barendson il suo maestro. Precario scomodo della Rai. Si fa le ossa in “TV7” “Odeon, tutto quanto fa spettacolo”, “Az un fatto come e perché”. Era della banda Arbore a “L’altra domenica”, ha condotto anche la Domenica sportiva, ma lascia il segno negli anni Ottanta conducendo “Blitz” quando alla famiglia generalista da Pippo Baudo e Corrado della domenica pomeriggio oppone lo spettacolo impegnato con cazzeggio in cui sfilano Federico Fellini, Giulietta Masina, Eduardo De Filippo, Enzo Ferrari, Leo Ferrè, Jane Fonda, Fabrizio De Andrè; unica trasmissione ammessa sul set blindato di “C’era una volta in America” con collegamento in diretta in quello che è oggi un prezioso dietro le quinte di un gran capolavoro.
Replicò nel 1991 con il programma televisivo d’interviste “Storie” quando propone in seconda serata un grande campionario approfondito di inediti protagonisti televisivi da don Ciotti a Battiato, dal Dalai Lama a Luis Sepulveda e Jorge Amado, e ancora eravamo, io, noi, voi, Naomi Campbell, John John Kennedy, Martin Scorsese.
Collaboratore di Repubblica, Corriere della Sera, Unità e Manifesto; la biografia di Gianni Minà è stata quello di un irregolare sempre scomodo al potere. Non ha avuto tessere di partito ed era quindi quel famoso “bravo” che a volte veniva inserito nel teorema della lottizzazione.
Aveva stima di Bernabei, ma era finito nel mirino di Bettino Craxi nonostante fosse stato collaboratore di “Mixer” con Minoli, e nonostante il successo di “Blitz” fu estromesso dalla Rai per lunghi anni. In tempi più recenti, un’assistente della presidente Letizia Moratti chiamava ai direttori dando una lista di persone non gradite: Simona Marchini, Beppe Grillo, Italo Moretti, Gianni Minà.
Un nonno morto sotto i bombardamenti in Piemonte, quello materno, si chiamava Gianni come lui fu battezzato, morto nel terremoto di Messina nel 1908, cui scamparono sua mamma e sua nonna che erano andate a Siracusa. Nel suo genio forse c’era anche questa memoria di grandi catastrofi del Novecento che lo avevano affratellato ai popoli del Sud del mondo sapendo raccontare storie umane e collettive uniche incredibili.
Eravamo io, noi e Gianni Minà uno dei più grandi giornalisti del mondo.
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