CATANZARO «L’importante operazione – denominata “Clan degli Zingari” – che ha disarticolato nei giorni scorsi una organizzazione criminale composta in particolare da soggetti di etnia rom, porta di nuovo sotto i riflettori la condizione di molti minori che vivono nella periferia sud del Capoluogo di Regione». E’ quanto afferma il segretario generale della Cgil Area Vasta Catanzaro-Crotone-Vibo, Enzo Scalese.
«L’attenta attività organizzativa coordinata dal Procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, al quale rinnoviamo i nostri complimenti, che estendiamo ovviamente alla Polizia di Stato, agli inquirenti e alla magistratura, ha portato a 62 arresti nel fortino dei rom, dediti a svariati reati tra i quali estorsione spaccio di stupefacenti, furti, aggravati dal vincolo associativo di stampo mafioso – afferma ancora Scalese -. Ma nello stesso tempo apre uno squarcio su una realtà tanto inquietante quanto drammaticamente nota: ragazzini, ma anche bambini di pochi anni, usati come sentinelle, corrieri o scudi per evitare perquisizioni delle forze dell’ordine. In molti casi il confezionamento, l’occultamento e la cessione della droga avveniva davanti ai figli minorenni dei pusher. In qualche intercettazione ambientale si lascia chiaramente intendere che pusher e ragazzini minori di 14 anni, tutti presenti nella medesima abitazione, erano intenti a confezionare la droga in “palline”. Questo è lo stesso quartiere in un cui lo scorso mese di ottobre un incendio ha distrutto l’abitazione della famiglia Corasoniti che ha perso tra le fiamme tre figli, e ha dovuto lottare per avere un alloggio prontamente occupato abusivamente. Periferie abbandonate, quartieri dormitorio, considerati bacini di voti a cui attingere in periodo elettorale in maniera disinvolta per poi archiviare istanze e servizi. In questo contesto i minori sono vittime due volte, compromessi nella serenità della crescita e soggetti all’impoverimento del diritto ad apprendere, formarsi, sviluppare capacità e competenze, coltivare le proprie aspirazioni e talenti è privato o compromesso. Parliamo di contesti sociali svantaggiati, caratterizzati da disagio familiare, precarietà occupazionale e deprivazione materiale: non si tratta quindi di una lesione del solo diritto allo studio, ma della mancanza di opportunità educative a tutto campo, da quelle connesse con la fruizione culturale al diritto al gioco e alle attività sportive. Minori opportunità che incidono negativamente sulla crescita del minore».
«Come ampiamente approfondito nel corso della prima Giornata dedicata al tema dal Corecom Calabria, povertà economica e povertà educativa si alimentano a vicenda, perché la carenza di mezzi culturali e di reti sociali riduce anche le opportunità occupazionali e rende questa fascia di popolazione soggetta alle influenze criminali che sopperiscono alle carenze di offerta e di servizi – scrive ancora Scalese -. Le ristrettezze economiche limitano l’accesso alle risorse culturali e educative, costituendo un ostacolo oggettivo per i bambini e i ragazzi che provengono da famiglie svantaggiate: nel lungo periodo, riduce la stessa probabilità che da adulto riesca a sottrarsi da una condizione di disagio economico. Per questa ragione, oltre al grande operato della magistratura e delle forze dell’ordine, le istituzioni sono chiamate ad investire seriamente sulle politiche per l’infanzia e adolescenza e nella lotta alla povertà educativa, per sottrare i minori e le famiglie che son radicate nel contesto dell’illegalità, dall’influenza criminale. Si tratta di un investimento di lungo periodo su cui far confluire risorse importanti, a partire da quelle del Pnrr», conclude Scalese.
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