RIMINI Il caso delle patate della Sila Igp viene indicato da tempo come un’esperienza di successo che supera i confini regionali. A spiegare questa crescita esponenziale del prodotto nel corso del MacFrut 2023 di Rimini è stato il presidente del Consorzio di Tutela della Patata della Sila Igp, Pietro Tarasi. «Abbiamo lavorato bene negli anni – ha affermato Tarasi al Corriere della Calabria –. Siamo partiti nel 2010 come patata della Sila Igp, abbiamo lavorato molto su questo brand ma soprattutto sulla qualità del prodotto. Avere la percezione che sia un prodotto buono spesso può risultare fuorviante perché si ritiene sempre che il produttore dica che il suo prodotto è il migliore. Noi questa percezione, però, l’abbiamo avuta sempre molto più forte. Quando siamo entrati sui mercati abbiamo dovuto fare non pochi sforzi ma, superata una certa soglia, quando cioè abbiamo cominciato ad affrontare la grande distribuzione organizzata e a fare qualche numero in più, ci siamo resi conto che la risposta era molto positiva. Abbiamo un ritorno sul prodotto da parte del consumatore e una fidelizzazione che è significativa. Ciò ha permesso al prodotto di crescere in maniera costante e continua, nel momento in cui conquistavamo un mercato non lo perdevamo. Non c’era nulla di episodico perché il prodotto era considerato di qualità. Questa cosa è continuata negli anni. Siamo partiti da circa 60 mila chili di confezionato e siamo arrivati a 10 milioni di chili. Questo vuol dire che abbiamo 10 milioni di sacchetti di patate che girano l’Italia. Si tratta di un brand che è percepito non solo come prodotto buono ma anche e soprattutto genuino, un prodotto di montagna. Ecco, questi sono i fattori che hanno portato al successo. Noi come Consorzio abbiamo lavorato su due direttrici: promuovere il prodotto e elevare il livello della qualità del prodotto stesso».
«In Sila – ha continuato Tarasi – siamo in un’area particolare, di pregio, in un Parco nazionale. La coltivazione della patata pensa circa il cinque per cento dell’intero territorio e non c’è nessuna intenzione di aumentare la quantità di produzione, stiamo parlando di circa duemila ettari. Al momento siamo intorno ai seicento ettari, quindi c’è la possibilità di crescere sul certificato senza aumentare la pressione sul territorio. Inoltre, proprio perché stiamo lavorando molto sulla qualità delle aziende, abbiamo una attenzione particolare nel seguire le aziende nelle loro produzioni cercando di far capire che dobbiamo aumentare la quantità, cioè la percentuale di prodotto di qualità e vendibile certificabile sull’intera produzione. Passare da un 40 a un 60-70 per cento di vendibile mantenendo la stessa produzione, fornisce due prospettive: permette al produttore di migliorare il suo reddito e aumenta la quantità di prodotto vendibile senza dare pressione sul territorio. La nostra attività di promozione è rivolta soprattutto a mercati nazionali, specie il centro-nord che in questo momento è la zona di consumo più interessante perché disponibile a pagare un prodotto di qualità ma che ha anche un costo che non è quello comune. Il nostro è un prodotto fortemente distintivo, siamo nel comparto delle “premium”. Il nostro prodotto una volta acquistato non si abbandona».
Al MacFrut presente naturalmente anche il cedro di Calabria che da sempre riscuote una attenzione nazionale da paragonare a prodotti più conosciuti come l’olio o le patate. Una magia, questa, raccontata dal presidente del Consorzio del Cedro di Calabria Angelo Adduci. «Noi abbiamo utilizzato questa vetrina del MacFrut – ha detto Adduci – anche per lanciare lo slogan coniato insieme al dipartimento Agricoltura della Regione: “Benvenuti in Calabria, terra di eccellenze” e tra queste eccellenze c’è il cedro di Santa Maria del Cedro che nei prossimi giorni sarà registrato nel bollettino europeo con la denominazione Dop. Il cedro è un frutto particolare, le attività che il Consorzio ha messo in campo negli anni anche grazie alla sensibilità dell’assessore all’Agricoltura Gianluca Gallo si stanno concretizzando. Abbiamo sempre affermato che il cedro va sganciato dal sistema ortofrutticolo in generale e dal sistema agrumicolo in particolare e va collocato nel suo alveo naturale che è quello dell’agricoltura contadina.
È vero che la cedricoltura non fa i numeri delle clementine o del bergamotto, ma arriva ugualmente a livelli estremamente importanti con un ricavato di circa quattro milioni di euro nel suo settore specifico. Ma la cosa straordinaria della cedricoltura è che può essere da esempio e fare da traino per tutte le eccellenze calabresi garzie al suo valore immateriale che è legato alla comunità ebraica e che si sta affermando sempre di più. Noi al museo del cedro – ha sottolineato Adduci – prima della pandemia ospitavamo 50 mila persone all’anno. In questa stagione lo sforzo che abbiamo messo in campo è quello di quadruplicare le visite rispetto all’anno scorso e tutto ciò grazie a una serie di azioni specifiche in modo da utilizzare il cedro nel sistema turistico. La via del cedro di Calabria è un percorso agro, mistico e sensoriale, che abbiamo voluto creare in sinergia con l’amministrazione comunale di Paola e con la Fondazione San Francesco di Paola. L’obiettivo è quello di unire appunto l’immagine del santo calabrese con questo prodotto. La Calabria è una terra straordinaria e finalmente i calabresi si sono resi conto di queste opportunità. Noi come Consorzio del cedro veicoliamo questi tipi di percorsi, per certi versi possiamo definirci un laboratorio per altri tipi di realtà con cui collaboriamo perché pensiamo che la Calabria per poter esprimere al meglio le proprie potenzialità deve fare squadra».
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