COSENZA La “gavetta”, la strada, le frequentazioni criminali in periferia e l’ingresso nella ‘ndrangheta cosentina sotto l’ala protettrice di Francesco Patitucci. E’ lunga la carriera criminale di Roberto Porcaro. Pentitosi nell’aprile del 2023, l’ex reggente del clan degli “Italiani” – sollecitato dalle domande dei magistrati – ripercorre tutte le tappe di una vita in larga parte dedicata alla mala. Sono trascorsi quasi venti anni, dal primo approccio, la frequentazione del quartiere San Vito consente al boss di avvicinarsi e stringere amicizia con Osvaldo Cicero, figlio di Domenico in quel periodo detenuto. Nel 2006, viene scarcerato e «in quell’anno l’ho conosciuto per la prima volta». Porcaro ricorda di una «fibrillazione» e si temeva per l’incolumità dello stesso Domenico Cicero in virtù di un contrasto con Michele Bruni alias “Bella Bella”. «Così Osvaldo Cicero mi dava 50 euro al giorno per la mia presenza a tutela dell’incolumità del padre. In quegli anni facevo anche da parcheggiatore presso una discoteca e mi dedicavo anche ad alcuni furti per guadagnare qualcosa e mantenere anche il mio primo figlio». Porcaro è sveglio e viene subito introdotto negli affari del clan. «Sempre tra il 2005-2006, ho assistito ad una prima riunione in cui Gianfranco Bruni detto “Tupinaru” venne a garantire la pace tra i Cicero ed i Bruni “Bella Bella”. Tale riunione si tenne a casa di Gianfranco Bruni, alla presenza di Domenico Cicero, Michele Bruni, Francesco Patitucci e Maurizio Rango, nonché a quella di Antonio Abbruzzese e del fratello di Luigi; io, invece, ero armato all’esterno sotto il porticato di casa mia per vigilare sulla sicurezza».
Nel 2008 scattano le manette. Roberto Porcaro viene coinvolto nell’operazione “Anaconda” e finisce in carcere a Catanzaro. Nell’indagine viene accusato di associazione a delinquere di tipo mafioso e di una decina di reali fine tra cui usura, estorsione e porto di armi. Alla fine sarà condannato ina abbreviato con l’esclusione dell’aggravante mafiosa,
ad una pena finale di un anno e tre mesi circa per il porto di armi. Rilevante, ai fini investigativi e nella carriera criminale del neo collaboratore di giustizia, sarà la detenzione in carcere e la conoscenza di alcuni soggetti legati ai clan. «Mi dissero che quando sarei uscito, mi sarei dovuto avvicinare a Francesco Patitucci, Sasà Ariello e Mario Piromallo per gestire alcuni affari illeciti e, in particolare, per occuparmi del traffico di sostanze stupefacenti di tipo cocaina, hashish e marjuana». Detto, fatto. Porcaro lascia l’istituto penitenziario, ma viene riarrestato nel settembre del 2009 a seguito del ricorso della Procura sull’annullamento della misura cautelare in riferimento al capo associativo e «sono stato condotto nel carcere di Cosenza, dove nel frattempo, avevano aperto l’alta
sicurezza e lì avevano tradotto i detenuti del circuito alta sicurezza che avevo conosciuto a Catanzaro e, in particolare, Gianfranco Bruni, Michele Bruni e Francesco Cicero». Quest’ultimo chiederà a Porcaro di affiliarsi, ma la proposta sarà rispedita al mittente per via di una parola data a Gianfranco Bruni.
Nonostante graviti negli ambienti malavitosi, Porcaro non è ancora formalmente affiliato. Nel 2011, però qualcosa cambia. Il pentito è destinatario dell’ordinanza cautelare a seguito dell’operazione “Terminator“. Porcaro è latitante insieme a Salvatore Ariello, i due fanno perdere le tracce per circa un mese. «Durante la mia latitanza, ero stato intanto scarcerato fino a quando sono stato nuovamente arrestato, sempre nell’ambito dell’operazione “Terminator” e dopo un altro breve periodo di latitanza a Belmonte, nell’ottobre-novembre del 2012, vengo condotto nel carcere di Cosenza. Durante questo periodo di detenzione, sono stato detenuto insieme a Tonino Presta, Salvatore Ariello, Umberto Di Puppo e Mario Gatto». E’ questo il momento in cui Porcaro inizia a partorire l’idea di una possibile affiliazione. «Umberto Di Puppo riportava l’intenzione, a lui riferita, da Michele Di Puppo che era stato detenuto a Siracusa, di formalizzare questo locale a Cosenza anche per consentire autonomi riti di affiliazione; tale apertura, tuttavia, poteva avvenire solo allorquando si fossero trovati tutti i “grandi” in libertà. In ogni caso, durante questa detenzione, ho ricevuto da Mario Gatto la dote dello “sgarro”». L’affiliazione avviene in carcere. «Mi ha incontrato nelle scale tra il primo ed il secondo piano del carcere e mi ha affiliato, recitandomi la formula impiegato per il conferimento della dote di “sgarro”. Sono stato quindi rimandato in cella dove Tonino Presta mi ha segnato con una lametta, imprimendomi il segno della croce sul pollice destro. Successivamente, poi, Mario Gatto mi ha consegnato alcuni foglietti con la copiata dove era riportato come capo società Franco Muto».
Gli arresti e le operazioni di polizia non consentono a Porcaro di continuare la propria attività e fanno saltare l’incontro che lo stesso avrebbe dovuto tenere a Cosenza con Giuseppe Cacciola di Rosarno «fratello di Maria Concetta, la donna che si è poi
suicidata con l’acido, per accordarci su una nuova fornitura di cocaina e pianificare il saldo di un debito di circa 70.000 euro che avevamo in sospeso con loro». «Io ero in compagni di Salvatore Ariello e attendevamo Cacciola presso un bar di Cosenza. Non ci siamo più incontrati proprio a causa del fermento dovuto agli arresti in corso». (f.b.)
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