Skip to main content

Ultimo aggiornamento alle 15:44
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 2 minuti
Cambia colore:
 

il contributo

«Proust, Leopardi e la memoria della felicità»

Seppure vissuti in due contesti assolutamente diversi e appartenenti a correnti letterarie dissimili, Marcel Proust e Giacomo Leopardi hanno alcune tracce in comune. Di Leopardi e della sua grandezza…

Pubblicato il: 02/07/2023 – 18:06
di Mario Campanella
00:00
00:00
Ascolta la versione audio dell'articolo
«Proust, Leopardi e la memoria della felicità»

Seppure vissuti in due contesti assolutamente diversi e appartenenti a correnti letterarie dissimili, Marcel Proust e Giacomo Leopardi hanno alcune tracce in comune.
Di Leopardi e della sua grandezza poetica, fulcro del romanticismo, sappiamo quasi tutto. Di Proust e della sua interminabile Recerche altrettanto, per quanto il suo pensiero sia costantemente oggetto di revisione e di critica.
Quale può essere il punto in comune ?Difficile stabilirlo se non con un senso di eresia ma è possibile azzardare un paragone. Probabilmente il ministro Sangiuliano li inserirebbe nel Pantheon dei conservatori, loro più che altri, ma in un ambito che sfugga a una dimensione di parte. La suggestione della collocazione non sottende a una sorta di appartenenza politica. La cultura, anche se si parlasse di Marx, appartiene a tutti.
Leopardi, sublime poeta, assegna all’ incoscienza infantile il barlume della felicità assoluta. Solo nell’essere infante, realizzandosi la non consapevolezza, si può essere realmente felici. Sappiamo bene, dal Canto notturno di un pastore errante, a Silvia, come il poeta recanatese concepisse nell’acquisizione della coscienza la fine della spensieratezza e, sostanzialmente, della felicità assoluta. Egli volge lo sguardo indietro.
Proust, nel suo interminabile capolavoro, assegna la stessa funzione alla memoria. Attraversa la ricerca del passato assaporandone gli odori, i gusti. Nelle memoria del passato esiste la ricapitalizzazione e persiste il ricordo della felicità.
“I veri paradisi sono i paradisi che abbiamo perduto” dice l’autore della Recerche. In questa declamazione c’è la vicinanza con la lirica leopardiana.
La bellezza è ciò che abbiamo vissuto. Per Leopardi, una condizione unicamente infantile. Per Proust una dimensione del passato.
Visti da angolature sbagliate sembrano essere pessimi profeti di futuro. E certo, pensando a Proust, un ragazzo di vent’anni non potrebbe identificarvisi.
Quella memoria che Proust assimila a una farmacia “ora venefica, ora calmante” è il segno dell’esistenza.
Se sia conservazione è un mistero. In Proust il divenire è possibile, in Leopardi è un esercizio inutile. “I nove decimi dei mali che gli uomini soffrono derivano dal loro intelletto” declama il grande scrittore francese. Il richiamo all’essere, alla proposizione dell’Io leopardiano è subliminale.
Rileggerli da prospettive diverse non significa chiudere l’esistenza a un’assenza  di speranze. Proust consegna alla bellezza della memoria (ma anche alla sua tragicità) l’elemento chiave della natura delle cose. Ma la memoria consolatoria è già essa stessa speranza e sopravvivenza. Fulcro di quella bellezza che ogni tanto appare, travestendosi da felicità, per poi andare via.

Argomenti
Categorie collegate

x

x