«Il commercialista di Bari»
Beniamino Andreatta, pensando di offenderlo, una volta lo chiamò “il commercialista di Bari”. Ma per offendere Rino Formica ci voleva ben altro. Tre volte ministro, Formica, era ed è un riformista d’…

Beniamino Andreatta, pensando di offenderlo, una volta lo chiamò “il commercialista di Bari”. Ma per offendere Rino Formica ci voleva ben altro. Tre volte ministro, Formica, era ed è un riformista d’acciaio. Novantasei anni compiuti nel maggio scorso, è lucidissimo.
È stato più craxiano di Craxi, ma, a differenza di Craxi, non è stato mai un anticomunista. Era, per dirla alle corte, un gradualista con lo sguardo lungo, mai tentato dalle scorciatoie di destra. Ad aprile di quest’anno, quando qualcuno introdusse l’argomento della “pacificazione nazionale” – tema caro a Giorgia Meloni – egli, in un’intervista, riferendosi alle dichiarazioni concilianti di Luciano Violante, disse testualmente, «Ha la vista corta del magistrato inquirente che confonde le responsabilità individuali con il pericolo intrinseco a una dottrina reazionaria»; per lui non c’è «la pacificazione con dottrine che uccidono e distruggono la democrazia», e, quindi, trova fuorvianti richiami alla riconciliazione nazionale.
Ha fatto felici cronisti e commentatori con le sue definizioni lapidarie. Tipo: “La politica è sangue e merda”, “Una corte di nani e ballerine”, “Il convento è povero, ma i monaci sono ricchi” (entrambi riferiti al Psi), “La politica non è l’arte del compromesso, ma l’arte di ridurre al minimo le parti inconciliabili”, “Uno dal quale non comprerei neanche un’auto nuova” (riferito Ciriaco De Mita).