COSENZA Uno dei capitoli più importanti della inchiesta “Reset“, della Dda di Catanzaro, riguarda il settore del gaming. Slots, sale scommesse erano, di fatto, nelle mani della mala bruzia che addirittura poteva imporre ai gestori dei bar quali e quante macchinette da gioco detenere e da chi prenderle in gestione. Le indagini svolte hanno permesso di rilevare l’utilizzo «di macchine da gioco alterate». Del settore ha avuto modo di parlare anche Nicola Femia, una delle fonti attraverso le quali l’antimafia prova a ricostruire legami e addentellati della ‘ndrangheta nel “gaming”. Da ex ras del settore conosce più o meno tutti. Nell’inchiesta “Reset” i verbali di Femia riguardano le attività nel settore del gioco online gestite da quello che i magistrati definiscono il gruppo Chiaradia-Orlando. Del primo, fa parte Daniele Chiaradia: ingegnere informatico. Femia colloca la propria conoscenza con Chiaradia nel 2004 e parla di «intensi rapporti (…) quando Chiaradia lavorava per un noleggiatore cosentino». Anche Roberto Porcaro, ultimo collaboratore di giustizia cosentino traccia un identikit dell’indagato in uno degli interrogatori messi a verbale da quando ha scelto di pentirsi.
L’ex reggente del clan degli “Italiani” dice di avere una conoscenza sia diretta che
indiretta di Chiaradia, che risale al 2009: all’inizio della militanza di Porcaro all’interno dell’associazione criminale. «Daniele Chiaradia e Mario Gervasi fin dal 2009 svolgevano questa attività in una sorta di società di fatto con Salvatore Ariello e Mario Piromallo».
Secondo il pentito, «periodicamente si recavano tutti e quattro presso un ufficio sito a Rende dove dividevano i proventi ricavati mensilmente dalla gestione di sala giochi e
dell’agenzia di scommesse». I magistrati chiedono a Roberto Porcaro di continuare nel racconto, e il collaboratore di giustizia cita un episodio. «Ricordo che avevano installato delle macchine da gioco presso l’area di servizio sull’autostrada all’altezza di Cosenza, non ricordo se a sud o nord». In riferimento a questa installazione di macchinette «voglio precisare che la collaborazione tra Gervasi, Piromallo, Ariello e Chiaradia è proseguita almeno fino all’operazione “Testa del serpente”. Essendo stato io arrestato non ho più cognizione di cosa sia accaduto da quel punto in poi». Insomma, Porcaro conferma quanto emerso nel corso dell’indagine “Reset” circa l’attenzione di alcuni presunti esponenti della mala bruzia al settore del gioco.
L’attività è redditizia, i giocatori sperano in una vincita che possa cambiare la loro vita e gettone dopo gettone riempiono il salvadanaio degli uomini del clan. «Chiaradia e Gervasi ad un certo punto della loro collaborazione con Ariello e Piromallo ritenendo che i continui incontri e le riunioni svolte senza alcune precauzione li esponessero al rischio di controlli di polizia o comunque di attività investigative decidevano di ridefinire i termini della loro collaborazione nel modo seguente: Chiaradia e Gervasi si impegnavano a versare mensilmente a Piromallo e Ariello, 2mila euro a testa, con l’accordo che non ci sarebbero stati più riunioni ed incontri per la suddivisone dei proventi ricavati dal gaming». Il volume d’affari è notevole, come conferma lo stesso pentito. «Erano riusciti a sviluppare una rete di relazioni tali da arrivare a installare macchinette da gioco non solo negli esercizi commerciali di Cosenza ma anche di Rossano». La circostanza sarebbe stata acquisita dal pentito perché riferita direttamente «da Piromallo e Ariello che erano riusciti ad installare macchine da gioco anche presso taluni esercizi commerciali di Rossano».
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