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Fallimenti “pilotati a catena” e riciclaggio, sgominato sodalizio criminale. Perquisizioni anche in Calabria

Eseguito dalla Gdf di Bologna un decreto di sequestro di beni per oltre 32 milioni di euro. Sono 32 le persone denunciate

Pubblicato il: 12/07/2023 – 10:13
Fallimenti “pilotati a catena” e riciclaggio, sgominato sodalizio criminale. Perquisizioni anche in Calabria

BOLOGNA Militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Bologna hanno eseguito, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Bologna, un decreto di sequestro preventivo, anche “per equivalente”, di beni per oltre 32 milioni di euro, emesso dal G.I.P. del locale Tribunale – Dott. Andrea Salvatore Romito, nei confronti di un sodalizio criminale dedito alla commissione di reati fallimentari e tributari nonché al conseguente riciclaggio dei proventi illeciti, anche per il tramite di compiacenti cittadini cinesi – e 25 misure cautelari.
Complessivamente, sono 32 le persone denunciate, di cui 15 tratte in arresto, nei confronti delle quali le Fiamme Gialle bolognesi hanno eseguito anche perquisizioni delegate dall’A.G. procedente in diverse regioni d’Italia e, precisamente, nelle province di Ancona, Arezzo, Barletta, Bologna, Brescia, Crotone, Foggia, Lucca, Milano, Monza e Brianza, Napoli, Parma, Pavia, Prato, Reggio Emilia, Roma, Torino, Trapani, Treviso, Udine, Venezia e Verona.

L’indagine

Gli accertamenti, a cura del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Bologna su delega del Sostituto Procuratore D.D.A. – Dott. Roberto Ceroni, hanno permesso di ricostruire come la consorteria investigata, nota come “banda del buco” e composta da bancarottieri “seriali”, fosse deputata alla continua acquisizione di società in crisi, ma dotate di apprezzabili asset, da depredare e condurre al fallimento.
Le indagini hanno consentito di appurare che l’organizzazione, una volta subentrata alla guida, nel corso del 2020, di un gruppo societario dell’hinterland bolognese – composto da una holding e altre 3 s.r.l. sottoposte al suo controllo – operante nei settori della dermo-cosmesi e della G.D.O. (con ben 32 supermercati dislocati tra Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Lombardia e Friuli Venezia Giulia), abbia effettuato vere e proprie operazioni di “sciacallaggio” ai danni delle menzionate persone giuridiche, cagionandone dolosamente il dissesto.
Tra le principali operazioni contestate, figurano la distrazione di 25 punti vendita, trasferiti, nell’imminenza del fallimento, a new-co riconducibili all’associazione pregiudicando, peraltro, la riscossione coattiva da parte dell’Erario per 3,3 milioni di euro di tributi. La conduzione illecita della catena di supermercati ha permesso agli indagati di lucrare sulla gestione del personale, assunto e somministrato attraverso società di “comodo” che hanno compensato i relativi contributi previdenziali e assistenziali, nonché le ritenute sul lavoro dipendente, con crediti d’imposta fittizi per oltre 2 milioni di euro.
Gli ingenti proventi illecitamente accumulati sono stati re-investiti in nuove iniziative imprenditoriali, tra cui l’acquisto di un noto prosciuttificio sito nel parmense, ovvero trasferiti – per la loro successiva “ripulitura” – a società italiane ed estere compiacenti sulla base di fatture false emesse ad hoc per giustificare i flussi finanziari. Tra queste spiccano tre “cartiere”, formalmente sedenti in Milano, amministrate da soggetti di etnia cinese irreperibili che, in meno di un anno, hanno emesso fatture false nei confronti di centinaia di imprese italiane realmente esistenti per 7 milioni di euro, nonché ricevuto bonifici sui propri conti aziendali per 11 milioni di euro.
Dagli accertamenti è emerso che i soggetti sinici erano inseriti in un sistema di trasferimento dei fondi illeciti, derivanti da reati fallimentari e fiscali, attraverso canali estranei ai tradizionali circuiti finanziari, così da aggirare anche i presìdi anti-riciclaggio e consistente in meccanismi “triangolari” di compensazione informale del denaro movimentato che ricalcano l’operatività della c.d. “Chinese underground bank”. In sostanza, le risorse finanziarie, riconducibili a operazioni commerciali fittizie, una volta accreditate venivano immediatamente trasferite in Cina, con contestuale retrocessione agli imprenditori italiani del contante di dubbia provenienza per un importo equivalente, al fine di monetizzare l’evasione fiscale ovvero distrarre risorse finanziarie dalle società. Trait d’union tra i membri della consorteria e i citati soggetti asiatici, sono risultati essere due coniugi (l’una cinese, l’altro italiano) residenti nell’aretino e implicati anche in un florido “giro” di prostituzione di giovani connazionali della donna. A testimonianza dell’estrema pericolosità e pervicacia criminale del sodalizio, i militari operanti hanno ricostruito come lo stesso, nell’ultimo periodo, avesse rivolto la propria attenzione su un nuovo target, ossia una storica società ittica sita nel tarantino dotata di un consistente patrimonio, ma sovra-indebitata e in crisi di liquidità, in procinto di essere “saccheggiata”. L’attività si inquadra nel più ampio dispositivo di polizia economico-finanziaria e testimonia l’impegno della Guardia di Finanza per la tutela dell’economia legale, a garanzia del corretto versamento delle imposte all’Erario nonché a salvaguardia dell’imprenditoria rispettosa delle regole, e per la repressione di fenomeni di inquinamento del tessuto economico sano.

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