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l’inchiesta

L’hacker a disposizione di tre clan. «Riciclava i soldi del Cara di Isola per la cosca Arena»

Le parole del pentito: Goke lavorava anche con i “Papaniciari” e i cirotani. «Era in contatto con banche svizzere e tedesche per dirottare gli investimenti in Germania»

Pubblicato il: 19/07/2023 – 13:24
di Pablo Petrasso
L’hacker a disposizione di tre clan. «Riciclava i soldi del Cara di Isola per la cosca Arena»

CROTONE Un hacker per tre cosche. Mark Ulrich Goke è il tecnico che, secondo i magistrati della Dda di Catanzaro, il clan dei “Papaniciari” avrebbe usato per muovere i propri passi nella finanza occulta. Da conti dormienti e piattaforme finanziarie fino all’«apriamoci una banca» proposto a Salvatore Aracri, quinta colonna della cosca in Germania. Per qualche tempo Goke avrebbe avuto la propria dimora in Italia; un vero e proprio dipendente dei “Papaniciari” «sino al luglio 2019». È lui uno dei due «cervelloni» che Mario Megna, nipote del boss Domenico, indica come gli attori della scalata finanziaria della ‘ndrina. Che l’hacker si trovasse in Italia nel 2019 lo indica un controllo effettuato dalla polizia di Crotone: gli agenti lo trovano in compagnia di due fratelli e chiedono informazioni alla polizia tedesca. Riguardo ai precedenti emerge un’immagine non proprio immacolata: una condanna a un anno e 4 mesi con la condizionale per appropriazione indebita e concorso formale in bancarotta; una pena pecuniaria per 11 casi di appropriazione indebita. E poi – sul piano delle partecipazioni societarie – un ruolo da “company director” in un’azienda che opera nel commercio all’ingrosso di profumi e cosmetici.

Le parole di Mirarchi su Goke. «Era a disposizione delle cosche crotonesi»

Santo Mirarchi

Mentre l’inchiesta “Glicine-Acheronte”, firmata dai pm Domenico Guarascio e Paolo Sirleo, ne svela il presunto ruolo al servizio della cosca Megna, anche un pentito parla di Goke. E in un interrogatorio del 2 marzo 2021 lo individua non solo come tecnico legato ai “Papaniciari” ma anche come il punto di riferimento del clan Arena nelle questioni finanziarie. Il collaboratore di giustizia è Santo Mirarchi, ex capo dei rom di Catanzaro storicamente legato alla ‘ndrangheta del Crotonese. Mirarchi riconosce Goke in foto e lo individua – sintetizzano i pm – «come un soggetto a disposizione delle cosche crotonesi (non solo quindi di quella “papaniciara”, ma anche di cosche “alleate” come quella isolata degli Arena e quella cirotana dei Farao)». È un’informazione che può ampliare il quadro delle indagini: più cosche avrebbero utilizzato lo stesso hacker per ripulire denaro sporco, in un inedito quadro di alleanze. Le parole del pentito catanzarese, per l’accusa, si sovrappongono con «le emergenze investigative» che riguarderanno Goke, che viene indicato «come un soggetto nazionalità tedesca, con il compito di riciclare denaro (nel caso di specie per conto degli Arena), ma soprattutto ponendolo in relazione con banchieri tedeschi e svizzeri, collocandolo geograficamente nell’area di Francoforte».

«L’hacker era in collegamento con banche svizzere e tedesche»

“Marco”, così lo conosceva Mirarchi sarebbe riuscito ad «approntare conti correnti esteri su cui far confluire il denaro da riciclare», proprio una delle accuse che gli vengono contestate dalla Dda di Catanzaro nell’inchiesta dello scorso giugno.
«Io adesso ricordo di un tedesco – dice Mirarchi – che gli isolani chiamavano “Marco”.

Leonardo Sacco

Questo soggetto l’ho visto a Isola Capo Rizzuto insieme a Leonardo Sacco, quello che gestiva il campo profughi», l’ex governatore della Misericordia di Isola Capo Rizzuto per il quale si celebrerà un secondo processo in Appello. Il collaboratore di giustizia “assegna” un compito a Goke: quello di «ripulire i soldi che Sacco gestiva per conto della cosca Arena». L’hacker sarebbe stato «in collegamento con banche svizzere e tedesche. Ricordo distintamente che “Marco” aveva agganci a Francoforte, presso alcune banche». Goke sarebbe stato «amico anche con i cirotani» e «aveva il compito di investire i soldi della cosca, in investimenti in Borsa e apriva dei conti correnti in Germania», dove «riusciva anche a costituire delle società che avevano il compito di acquisire beni e debiti di società in fallimento in Italia».

«”Marco” era una testa di ponte per dirottare gli investimenti della cosca Arena in Germania»

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Secondo Mirarchi, «le società che fallivano in Italia erano sempre gestite dalla cosca e intestate a prestanome e i fallimenti erano pilotati per procedere a truffe. Con la società estera, in pratica, si acquisivano i beni della società che in Italia sarebbe fallita. E «”Marco” era una testa di ponte per dirottare gli investimenti della cosca “Arena” in Germania» dove «non esiste il reato di associazione mafiosa». Il pentito ribadisce, peraltro, «che questo “Marco” non lavorava solo con gli Arena ma anche con i cirotani. Del resto i cirotani venivano spesso a Isola, negli incontri che facevamo, e “Marco” era presente. Questa persona io l’avrò vista due o tre volte, in occasione di questi incontri».
Al centro dei discorsi ci sono sempre i soldi. Una montagna quelli che sarebbero stati distratti dalla gestione dei servizi del Cara e finiti nelle tasche del clan. Nei giorni dell’inchiesta Jonny si parlò di oltre 30 milioni distratti dal loro uso e finiti nelle tasche della ‘ndrina. Le parole del collaboratore di giustizia collegano l’hacker coinvolto nella recente inchiesta dell’antimafia alle operazioni di riciclaggio della cosca che aveva monopolizzato il settore dell’accoglienza nel Crotonese. Un ponte di denaro sporco e sofisticate operazioni finanziarie che unisce “Glicine-Acheronte” e “Jonny”. E mette in relazione tre clan uniti in nome del profitto e della finanza occulta. (p.petrasso@corrierecal.it)

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