SERRASTRETTA I pomodori sulle canne sono grandi e perfetti, ma ancora verdi. Nel giardino della sinagoga di Serrastretta l’estate tarda ad andare via e la natura rallenta, promette nuovi frutti laddove ci si dovrebbe solo preparare all’autunno. Del resto per gli ebrei il Capodanno è a settembre, Rosh Hashanah: è questo il tempo di un nuovo inizio. Un gatto grigio si sdraia pancia in su ad ogni gradino, si rotola tra i piedi, obbliga a procedere con lentezza, a guardarsi intorno, annusare l’aria pulita, l’eco del rosmarino steso ad essiccare al sole, a notare i dettagli, come la piccola stella a cinque punte tra i vasi delle piante grasse. La figura esile di Rabbi Barbara Aiello appare davanti alla porta a vetro per dare il benvenuto nel suo accento americano, impermeabile a oltre vent’anni trascorsi nella Sila catanzarese. E questo è solo uno dei suoi talenti: prima donna rabbina liberale in Italia, fondatrice dell’unica sinagoga attiva in Calabria, Ner Tamid del Sud – la luce eterna del Sud – che si trova proprio in questo minuscolo borgo che in pochi conoscono, isolato e protetto dall’abbraccio delle montagne.
«Sono tornata per ritrovare le mie radici» è la sua risposta alla più impellente delle curiosità sulla sua vita: che ci fai in Calabria? Nata a Pittsburgh, in Pennsylvania da una famiglia ebrea italiana, è stata ordinata Rabbi al Rabbinical Seminary International di New York nel 2004, all’età di 51 anni, e poi ha deciso di trasferirsi in Italia, nella terra dove i suoi genitori sono nati, per mantenere una promessa molto importante fatta proprio a suo padre. Serrastretta è un borgo ricco di peculiarità: è il paese delle sedie impagliate, delle fontane, delle salite e delle discese come in un quadro di Esher. Qui sono nati i genitori di Dalida, la cantante di “Ciao amore ciao” e a lei è dedicata una casa museo. È un paese di partenze – quelle degli emigranti – e di arrivi: il più importante risale a quattrocento anni fa, quando cinque famiglie di ebrei perseguitati, in fuga da Scigliano (che dista circa 35 km) arrivarono fin qui e fondarono quello che all’epoca era solo un villaggio. Ecco da dove nasce il legame così forte tra questo territorio e l’ebraismo. «Fin da bambina tornavo con la mia famiglia ogni estate – racconta Rabbi Barbara Aiello – l’ho sempre considerato il mio posto nel mondo. Non so se ne avessi bene consapevolezza, ma mi dicevo: è qui che voglio vivere».
Il suo tempo di guida spirituale di una piccola comunità di circa ottanta fedeli (molti arrivano da fuori regione) è scandito dalla preghiera e dallo studio sulle carte consumate della Torah ma anche sulla rete, perché tiene on line le sue lezioni con i giovani allievi che dall’altra parte del mondo – «da Ottawa, Ontario, Vancouver, Los Angeles, Texas, New York» racconta – con lei imparano su Zoom a leggere in ebraico in attesa del Bar Mitzvah, il loro ingresso ufficiale nell’età adulta e che la stessa Rabbi officerà. Tra un viaggio e un altro è lei ad occuparsi dei “tour” in Calabria, proponendo dei pacchetti all inclusive alle famiglie di ebrei che vengono a scoprire luoghi simbolo come la Giudecca di Bova e il campo di Ferramonti. «Il calendario è fitto, anche ottobre sarà un mese impegnativo. Verranno piccoli gruppi, da 6 a 12 persone per volta – spiega – anche da molto lontano: da Israele, dal Canada e dagli Stati Uniti». I fedeli atterrano a Lamezia Terme, alloggiano in un hotel nei pressi dell’aeroporto e in autobus raggiungono la sinagoga di Serrastretta dove partecipano alle funzioni dello Shabbat, alle feste, alle commemorazioni e qui, dopo il pranzo, si passeggia, si intonano i canti e si studia la Torah all’aperto, nel giardino della sinagoga. «La mia attività contribuisce a portare visitatori a Serrastretta – chiarisce la rabbina – anche se mi dispiace che ancora non ci siano strutture ricettive che possano garantirgli anche il pernottamento».
Barbara Aiello ha un legame forte con il paese e lavora in sintonia con la parrocchia e con il sacerdote, «come ha detto il Papa, cristiani ed ebrei sono cugini: la sinagoga fa molto per la comunità – spiega – con i soldi che vengono donati abbiamo fatto restaurare una antica fontana e ogni anno regaliamo una scatola di pennarelli ai bambini che iniziano la scuola. Tutti qui sono i benvenuti: il mio impegno è quello di aprire la porta, senza chiedere documenti. Non mi interessa sapere a quale credo appartengano».
Nelle parole della rabbina è ricorrente il ricordo di suo padre. «È lui» dice indicando una bellissima foto in bianco e nero incorniciata sul tavolo. «È stato un partigiano, ha partecipato alla liberazione del campo di concentramento di Buchenwald, in Germania. Un uomo dai grandi ideali, profondamente innamorato dell’Italia e della sua terra. Quando tornava, ogni estate, adorava tutto di Serrastretta: l’aria, l’acqua, il silenzio. Ma soprattutto – aggiunge – sognava di aiutare la comunità a ritrovare le radici ebraiche». Per questo a sua figlia ha strappato una promessa: «Devi tornare e riportare l’ebraismo e le tradizioni che sono andate perse» le ha detto. E lei è tornata.
Rimangono i cognomi a testimoniare quel legame ormai perso, di cui però ci sono tracce in abitudini tramandate inconsapevolmente. «In questi anni mi è capitato di parlare con tante persone che non sanno di essere ebree, eppure coprono gli specchi con un lenzuolo bianco quando muore un loro caro, accendono candele votive il venerdì sera e in quello stesso giorno evitano di mangiare la carne di maiale. Tutte tradizioni ebraiche».
Rabbi Barbara si muove negli spazi della sinagoga, mostra i suoi shofar, i corni che vengono suonati per chiedere perdono (VIDEO) e la ricchissima collezione di Chanukkiyah, il candelabro a nove bracci utilizzato durante la festa di Hannukkah: da quelli più rari e pregiati a quelli più eccentrici, sono tutti doni dei fedeli, il più bizzarro arriva dal Giappone e ha la forma di un sushi. Dopo aver indossato il Talled, il tipico scialle entra nell’area dove si celebrano le funzioni: «È un luogo piccolo, ai fedeli che arrivano dalle grandi città e frequentano maestose sinagoghe, dimostriamo che non è facile, ma si può praticare anche tra tante difficoltà». La voce bassa e le parole misurate, Rabbi Barbara ha sempre una risposta chiara, nonostante l’italiano zoppicante e la propensione a dialogare in inglese. «Mi sento una pioniera, ho portato in questo paese che era ebraico in un tempo antico, la bellezza della religione: l’ebraismo è gioia e bisogna diffondere questa idea». Ruolo non facile il suo, soprattutto per una donna che appartiene ad una corrente liberale e moderna. «Sì, a volte mi sono sentita discriminata come rabbina. Gli ebrei ortodossi non riconoscono il nostro lavoro, siamo per loro come la Coca Cola light – sorride – ad esempio non ho nessun contatto con i rabbini che arrivano in Calabria per selezionare i cedri, non accettano che una donna possa ricoprire il ruolo di rabbina, per loro una donna non può toccare né leggere la Torah». Il tempo a nostra disposizione è scaduto, c’è tanto da fare in vista delle trasferte e dell’arrivo di nuovi gruppi di fedeli.
Resta solo una domanda sospesa: cosa ti spinge a rimanere qui? «L’amore della gente, l’altruismo, l’amicizia vera: uso sempre il termine aiutevole, so che non è corretto ma rende l’idea. Quando qualcuno ha bisogno qui in questa piccola comunità c’è sempre qualcun altro pronto a mettersi a disposizione, a darsi da fare. Io mi sento profondamente calabrese – sorride e i suoi occhi chiari si accendono – orgogliosa di esserlo. Se penso a qualcosa che mi rende felice penso a una banda che suona per me Calabrisella». (redazione@corrierecal.it)
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