COSENZA Pentito di niente. E’ il titolo che avevamo scelto quando il Corriere della Calabria aveva dato notizia del dietrofront di Danilo Turboli, coinvolto nell’inchiesta “Reset” della Dda di Catanzaro. Considerato legato alla mala cosentina, Turboli aveva deciso di pentirsi salvo poi compiere un clamoroso passo indietro. «Me le sono inventate le cose» urlò in videocollegamento, lasciando spiazzati i presenti nell’aula del Tribunale di Cosenza che attendeva le sue dichiarazioni. Le prime da collaboratore dopo aver rilasciato importanti confessioni ai magistrati catanzaresi. La decisione lasciò tutti sgomenti, sorprese per tempismo e contenuto narrativo esattamente come quanto accaduto stamane a Catanzaro, in aula bunker, nel corso del procedimento in corso per coloro che hanno chiesto di essere giudicati con il rito alternativo. Intorno alle 15, di lunedì pomeriggio, Roberto Porcaro prende la parola per manifestare l’intenzione di venir meno all’impegno assunto quando ha deciso di collaboratore di giustizia. Tutti i verbali resi e riempiti di racconti, aneddoti, retroscena, segreti e fatti di sangue vengono spazzati via con una determinazione sorprendente. «Non intendo più proseguire in questo percorso, revoco il mandato al mio avvocato». Ipse dixit.
Giova ricordare quanto accaduto nei giorni precedenti quel 4 maggio 2023, quando il pentimento di Porcaro diviene “ufficiale”. A Rende, compare uno striscione con il quale alcuni ignoti avevano deciso di anticipare la volontà, poi effettivamente espressa da Porcaro, di collaborare con la Dda di Catanzaro. L’ex delfino di Francesco Patitucci viene definito «pentito infame». Un messaggio chiaro quello inviato dagli autori, rimasti ancora anonimi, ma che non impedì all’ex reggente del clan degli “Italiani” di continuare a vuotare il sacco.
Quattordici giorni dopo la comparsa dello striscione, in redazione giunge una lettera firmata da alcuni familiari di Porcaro. Sono le avvocate Giorgia Greco e Tanja Argirò, a inoltrare una breve missiva su richiesta della signora Silvia Guido, coinvolta nel procedimento penale denominato “Reset” ed ex moglie di Porcaro. Ecco il contenuto della lettera: «Da più settimane ormai è stata palesata e pubblicizzata attraverso giornali, media e social network la scelta di collaborare con la giustizia del Porcaro, ex coniuge di Silvia Guido nonché padre dei suoi tre figli. Da tale scelta, per come sopra rappresentato e per volontà della Guido e dei suoi figli, si dissociano i suoi più stretti familiari, non condividendola».
I verbali di interrogatorio restano, come le frasi pronunciate, ma ovviamente l’interruzione del percorso di collaborazione priva l’accusa di un profondo conoscitore dei fatti di mala, soprattutto cosentina. Le dichiarazioni rese hanno avuto un peso, ma quelle non dette potrebbero pesare ancora di più. Droga, omicidi, intimidazioni, usura: non c’è business illecito in cui Porcaro – secondo quanto emerso nel corso delle operazioni eseguite – non abbia messo bocca o partecipato. Arrivato al vertice del clan degli “Italiani” per succedere a Francesco Patitucci, Porcaro è stato considerato per molto tempo reggente indiscusso della cosca, l’uomo a cui fare riferimento.
Non è la prima volta che un collaboratore di giustizia decide di riconsiderare e abbandonare il percorso intrapreso. Oltre a Danilo Turboli, a Cosenza si ricorda Edgardo Greco. Ritenuto esponente di spicco della ‘ndrangheta di Cosenza e superlatitante dal 2006, Greco – per un breve periodo – decise di pentirsi. Affiliato alla ‘ndrina Perna-Pranno egemone a Cosenza e provincia come accertato nell’esito procedimento “Garden”, e all’esito dei diversi gradi di giudizio del maxi processo “Missing”, è stato ritenuto corresponsabile dell’imboscata costata la vita, il 5 gennaio 1991, ai fratelli Stefano e Giuseppe Bartolomeo.
Nel ’97, Greco decise di collaborare fornendo elementi utili sulla guerra di mafia che insaguinò le strade della città di Cosenza. «la guerra aveva inizio all’incirca nel 1977 dopo che Franco Pino e Pietro Pino, Lorè Antonio e Muto Franco fecero una riunione al carcere di Cosenza vecchio.. per far sì che eliminassero Palermo Luigi». Tanto ha riferito di aver appreso da Armando Bevacqua. Ha specificato che quest’ultimo «era stato arrestato e in carcere aveva visto insieme tutte le persone sopra citate che “brindavano, che era successo qualcosa..” (…) vide in una cella che i più grossi capi stavano brindando…Lorè Antonio, Pietro Pino e Muto Franco e, se non erro, c’era Sena Antonio, ma non vorrei sbagliarmi (…) stavano brindando “a ciò che doveva succedere“». Dopo alcune informazioni rese ai magistrati dell’epoca, Greco decise di chiudere la bocca. Seguì la latitanza e l’arresto in Francia, dove si era riciclato lavorando come chef. Ma questa è un’altra storia e il Corriere della Calabria l’ha raccontata qui. (redazione@corrierecal.it)
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