LAMEZIA TERME Con la morte di Matteo Messina Denaro, a poco più di 8 mesi dalla sua cattura dopo oltre trent’anni di latitanza, si chiude una pagina storica della criminalità organizzata del nostro Paese, tra pizzini, lettere, verità e silenzi rimasti tali fino all’ultimo istante. Il boss stragista di Cosa Nostra, condannato per le stragi di Capaci e via D’Amelio e per gli eccidi del 1993 a Roma, Firenze e Milano, oltre che per l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, è morto a 62 anni, nel reparto detenuti dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila, dopo un’agonia durata diverse settimane per il tumore al colon al quarto stadio.
Matteo Messina Denaro, l’ultima “primula rossa” di Cosa Nostra porta via con sé informazioni importantissime, cruciali per ricostruire lo scenario criminale degli ultimi decenni ma che ha deciso, dopo la sua cattura, di non rivelare agli inquirenti, chiudendosi dietro ad un silenzio granitico che neanche la sofferenza ha scalfito, rispettando il più classico diktat mafioso. Negli ultimi anni, e soprattutto dopo la sua cattura avvenuta il 16 gennaio, gli inquirenti hanno ricostruito l’ampio puzzle che ha caratterizzato la vita di Messina Denaro: dagli episodi criminosi all’ingente patrimonio, ma anche i legami con la ‘ndrangheta calabrese.
Nel tempo, infatti, gli investigatori hanno raccolto segnalazioni ritenute «attendibili e riscontrate». E raccontano che Messina Denaro avrebbe trascorso «almeno fino al 2018 un periodo della sua trentennale latitanza tra le province di Cosenza e Crotone». Tra fughe e tracce economiche, già una decina di anni fa, nell’ambito di un’inchiesta sul business del fotovoltaico, un imprenditore ritenuto fedelissimo del boss si era visto sequestrare una serie di società che avevano affittato numerosi terreni di proprietà delle principali famiglie mafiose della Locride. Ci sono pentiti, poi, che narrano dell’acquisto di immobili in Calabria, intestati a prestanome e in cui Messina Denaro potrebbe aver trovato rifugio. Il “fantasma” del fuggitivo si sarebbe materializzato anni fa a Mendicino, cittadina del Cosentino interessata da alcuni sequestri a “teste di legno” riconducibili al “capo”.
Gli ultimi indizi messi insieme a maggio di quest’anno, parlano di un Matteo Messina Denaro in Calabria prima della fuga “definitiva” a Campobello di Mazara. Il padrino di Castelvetrano, infatti, grazie alla protezione della ‘ndrangheta si sarebbe rifugiato tra Lametia Terme e Cosenza, città in cui il boss avrebbe avuto anche diversi affari: da quello dei traffici di droga alla realizzazione di un villaggio turistico e di impianti eolici. Ma, mentre quella trascorsa da Messina Denaro a Campobello è stata quasi una vita normale, in Calabria, secondo gli investigatori, il capomafia avrebbe avuto una latitanza simile a quella del suo storico alleato corleonese, Bernardo Provenzano costretto a nascondersi e a spostarsi più volte.
Ma non è tutto. Le indagini, complesse, parlano anche di segnalazioni da Palermo secondo le quali Messina Denaro avrebbe trovato rifugio nella Piana di Gioia Tauro. È il 2016 e a lanciare l’allarme è il procuratore aggiunto di Palermo, Teresa Principato. «Possiamo affermare che la ’ndrangheta ha sostenuto la latitanza di Messina Denaro» i cui rapporti con la mafia calabrese «sono basati su punti incontrovertibili: contatti con la ’ndrangheta ci sono dai tempi di Riina» ha poi ribadito in una intervista al “Fatto Quotidiano”. Una conferma è arrivata, poi, nel 2019 da Giovanni Brusca nel processo “‘Ndrangheta stragista”. Al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, infatti, Brusca ha detto: «È da una vita che ci sono contatti con calabresi e siciliani». Il pentito Marcello Fondacaro ha spiegato, sempre in aula a Reggio Calabria, l’esistenza di rapporti tra imprenditori legati al boss di Limbadi Luigi Mancuso con l’imprenditore Patti, ritenuto all’epoca dominus della Valtur. L’idea era quella di «un progetto alberghiero a Pizzo Marina» da realizzare in parallelo con un villaggio nel Crotonese per il quale avrebbe avuto voce in capitolo il boss Nicolino Grande Aracri. Secondo Fondacaro, l’imprenditore avrebbe avuto come commercialista il fratello della compagna di Matteo Messina Denaro. Altro frammento da una fuga con protettori anche in Calabria.
Ipotesi e indizi sui quali le indagini delle Procure potranno fare luce per ricostruire una verità finora oscurata dal velo dell’omertà e dei silenzi che il padrino di Castelvetrano ha portato via con la sua definitiva uscita di scena. (g.curcio@corrierecal.it)
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