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«La storia alle origini del conflitto israelo-palestinese»

Ancora una volta un conflitto. Ancora una volta in contrasto da molto tempo di combattono tra loro. Ancora una volta innocenti che pagano a caro prezzo la scelleratezza di governatori, che per un bri…

Pubblicato il: 12/10/2023 – 17:30
di Domenico Lo Duca
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«La storia alle origini del conflitto israelo-palestinese»

Ancora una volta un conflitto. Ancora una volta in contrasto da molto tempo di combattono tra loro. Ancora una volta innocenti che pagano a caro prezzo la scelleratezza di governatori, che per un briciolo di potere calpestano senza cuore le vite di quelli che dovrebbero essere propri concittadini.
La nuova escalation del conflitto israelo-palestinese con l’attacco a sorpresa di Hamas prima e la risposta di Israele poi, è solo l’ultimo di tanti episodi che hanno visto i due schieramenti fronteggiarsi nel corso della storia. La storia appunto: da dove ha origine il conflitto? Una delle origini fondamentali risale alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX secolo, con l’ascesa del sionismo e il collasso dell’Impero ottomano. Da lì è stato un susseguirsi di periodi di guerra e pace, fino agli ultimi episodi dei giorni scorsi. Ma scendiamo nelle pieghe della storia.

Sionismo e la Dichiarazione Balfour (1917)

Il sionismo è un movimento politico e nazionale nato alla fine del XIX secolo, che sosteneva l’insediamento ebraico in Palestina, all’epoca parte dell’Impero ottomano. Nel 1917, la Dichiarazione Balfour, emessa dal Regno Unito durante la Prima Guerra Mondiale, dichiarò il sostegno britannico alla creazione di “una patria nazionale per il popolo ebreo” in Palestina.

Mandato britannico in Palestina (1920-1948)

Dopo la Prima Guerra Mondiale, la Società delle Nazioni concesse al Regno Unito un mandato per amministrare la Palestina. Durante questo periodo, l’immigrazione ebraica in Palestina aumentò, provocando tensioni tra le comunità ebraica e araba locali. Nel 1947, l’ONU adottò il Piano di Partizione delle Nazioni Unite, che prevedeva la divisione della Palestina in uno stato ebraico e uno stato arabo, con Gerusalemme sotto un regime internazionale. Gli ebrei accettarono il piano, ma gli stati arabi lo respinsero.

Guerra d’indipendenza israeliana (1947-1949)

La Dichiarazione di Indipendenza di Israele avvenne il 14 maggio 1948, seguita da una dichiarazione di guerra da parte dei paesi arabi confinanti. Questo portò a una guerra tra Israele e una coalizione di stati arabi. La guerra si concluse nel 1949 con una serie di cessate il fuoco e l’acquisizione da parte di Israele di territori che vanno oltre le frontiere assegnate dalle Nazioni Unite.

Rifugiati palestinesi e il conflitto continuo

La guerra del 1948 generò un’enorme popolazione di rifugiati palestinesi, la cui situazione rimane un tema centrale nel conflitto. Dopo il conflitto scoppiarono nuove guerre tra Israele e gli Stati arabi. La più importante, conosciuta come Guerra dei sei giorni, ebbe luogo nel 1967. Israele sconfisse l’Egitto, la Siria e la Giordania, occupando una parte dei loro territori: Gerusalemme Est e la Cisgiordania (cioè il territorio a ovest del fiume Giordano, noto anche come West Bank), appartenenti ala Giordania; la Striscia di Gaza e la Penisola del Sinai, facenti parte dell’Egitto; il Golan, appartenente al Libano. Pochi anni dopo, nei territori occupati iniziò la costruzione di insediamenti israeliani, che nel corso degli anni sono diventati sempre più numerosi. Dopo la Guerra dei sei giorni il conflitto israelo-palestinese assunse una nuova forma. La popolazione palestinese perse fiducia negli Stati arabi e si propose di condurre in prima persona la lotta contro gli israeliani, sotto la guida dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina e del suo leader Yasser Arafat.
Inoltre, tra la fine degli anni ’70 e gli anni ‘80 cambiò nuovamente lo scenario internazionale. L’Egitto firmò un accordo di pace con Israele, riottenendo il Sinai, e rinunciò definitivamente alla Striscia di Gaza. Nel 1988, il governo giordano rinunciò alla Cisgiordania, auspicando che potesse diventare sede di uno Stato palestinese se Israele si fosse ritirato. Da allora, Cisgiordania e Gaza sono considerati territori palestinesi.

Processo di pace e negoziati

Grazie a questi cambiamenti, negli anni ’90 iniziò un promettente processo di pace. Nel 1993 Arafat e il premier israeliano Yitzhak Rabin sottoscrissero un accordo con il quale Israele e l’Olp si riconoscevano reciprocamente. Lo Stato ebraico, inoltre, cedette alla sua controparte il controllo di alcuni settori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, con l’obiettivo di giungere alla creazione di uno Stato palestinese. L’accordo, però, non affrontava le questioni più spinose, tra le quali lo status di Gerusalemme, che entrambi rivendicano come capitale; gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, dei quali i palestinesi chiedono la rimozione; il ritorno in Israele dei profughi palestinesi espulsi nel 1948. Non a caso, il processo di pace è fallito e lo Stato palestinese non è stato costituito, sebbene sia stata fondata un’Autorità nazionale palestinese per amministrare i territori ceduti da Israele. Il conflitto ha assunto la forma di una guerra asimmetrica, combattuta tra un esercito regolare da una parte e milizie armate dall’altra. La pace appare quanto mai lontana.
Con il passare degli anni il conflitto israelo-palestinese ha lasciato i confini della guerra di religione, diventando un vero e proprio scontro tra due popoli per il possesso della stessa terra. È vero l’appartenenza a due fedi diverse, ebraica e islamica, inasprisce il confronto, ma non ne è più la causa scatenante. Il conflitto, poi, in termini politici, non è delimitato ai soli territori israeliani e palestinesi, ma si combatte con le armi della parola anche nelle principali capitali del mondo, perché oltre al terreno, per entrambi guadagnare sostegno internazionale è un elemento imprescindibile.

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