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Da Reggio una storia di coraggio. Mario e la sua lotta contro una malattia rara

È stato un pediatra reggino ad accorgersi di un’anomalia del piccolo. Da lì è partita l’odissea di una coppia: lei reggina

Pubblicato il: 29/10/2023 – 11:04
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Da Reggio una storia di coraggio. Mario e la sua lotta contro una malattia rara

REGGIO CALABRIA «Il vostro bambino ha occhioni da bambola le ciglia lunghissime. Ma qualcosa non va». Parte da Reggio Calabria una storia di dolore e riscatto. Una storia raccontata su Avvenire dai genitori di Mario (nella foto tratta dall’Avvenire con i genitori), un piccolo di 2 anni e mezzo, a cui due anni addietro – durante una vacanza a Reggio Calabria – un pediatra della città dello Stretto diagnostica un’anomalia ed indica di rivolgersi rapidamente ad un’oculista. Ed è dallo specialista che arriva la doccia fredda per i due: la mamma Manuela Mallamaci originaria di Reggio Calabria ed il papà di Caserta. «Eravamo felici – raccontano Giovanni e Manuela di quella vacanza in riva allo Stretto trasformatasi per loro in dramma –, invece è diventato un incubo. Vedendo i bambini degli amici ci accorgemmo che Mario era diverso, non teneva su bene la testa, lo sguardo era meno attento».
Da quel momento per i due inizia l’odissea in giro per diversi ospedali per comprendere la malattia di Mario. Fino a quando a gennaio scorso arriva la sentenza da parte di un genetista del Sant’Orsola di Bologna: Chops. Una rarissima malattia tanto che in tutto il Mondo ne esistono trenta casi, in Italia tre. «Grazie a Dio – racconta Manuela con una laurea in Astrofisica – uno dei tre era in cura al Sant’Orsola, se no ancora oggi brancoleremmo nel buio. Nulla è avvenuto per caso».
«Sapere di non essere i soli al mondo diventa vitale, per questo abbiamo iniziato a cercare le altre 30 famiglie all’estero – dice Manuela –, volevamo vedere il futuro di Mario, sapere come vivono i loro figli, se hanno cure. Su whattsapp abbiamo scritto a “Chops Kids” ma nessuno ci rispondeva, pensai fosse una bufala, ma il destino ci ha messo lo zampino…». E racconta di una vicenda da miracolo. È lo stesso Mario che con un il ditino ha fatto partire inavvertitamente una videochiamata e a rispondere una donna americana
«Era Lainey Moseley, mamma di Leta, 25 anni», la prima al mondo a ricevere la diagnosi di Chops nel 2015, quando la malattia è stata scoperta dallo statunitense Ian Krantz e dal giapponese Kosuke Izumi.
«Presto la rete internazionale di famiglie con bambini Chops mi ha chiesto di farmi portavoce per raccogliere fondi per la ricerca, la sola speranza per i nostri figli».
Si tratta di una malattia devastante, Chop a cui ai ritardi cognitivi si sommano gravi difetti cardiaci e polmonari, obesità, displasia allo scheletro. Nessuna terapia e tanta necessità di ricerca per individuare origine della mutazione genetica e la speranza di trovare un farmaco.
Da qui parte l’altra scommessa lanciata dai genitori di Mario. Da marzo scorso hanno avviato una raccolta fondi e a maggio hanno istituito la “Fondazione Chops Malattie Rare Ets”, ente del terzo settore di cui la combattiva mamma di Mario è presidente.
L’obiettivo, annunciato sull’Avvenire, è raccogliere i 400mila euro necessari per avviare la ricerca e la risposta è stata subito travolgente.
«In 15 giorni sono arrivati i primi 60mila euro – spiega l’Avvenire – in buona parte dai colleghi della Polizia di Stato del papà di Mario, e oggi grazie a parrocchie, scuole, gruppi di amici o di sconosciuti che dal nord al sud organizzano eventi, sono stati raccolti 220mila euro (www. Fondazionechopsets.com)».
Secondo quanto riportato dal giornale della Cei, i primi 70mila euro finanzieranno una compagnia Usa di biotecnologie che mira a individuare le terapie adeguate alla complessità dei sintomi.
Inoltre la Fondazione sta per avviare un bando aperto a tutto il mondo per uno studio che scopra i meccanismi genetici della sindrome.
«Non lo facciamo solo per Mario – sottolinea Manuela -, noi sogniamo la terapia genica che sblocchi tutti questi bambini, perché c’è qualcosa che non permette loro di evolversi».
Mario non dice una parola e non cammina, anche se da un anno ha imparato a strisciare, «una conquista enorme, ci abbiamo lavorato mesi… Quanta fede ci vuole in tuo figlio per credere che possa fare certe cose? Prima se lo mettevi a terra stava immobile, poi con tanta fisioterapia e tanti pianti ha imparato a strisciare verso il giocattolo. Ora prende e parte».
Ed ancora il racconto della “mamma coraggio” reggina: «pensare a soluzioni alternative è il mio lavoro di astronoma », ma la forza le viene soprattutto dalla fede, «da sola non reggi un peso del genere – assicura Manuela –, c’è Chi mi sostiene passo dopo passo».
«Manuela – le da man forte il marito – quando era incinta fu assunta in un prestigioso centro di astrofisica in Germania, avevamo già trovato la casa e il nido a Berlino, io avrei fatto il pendolare, tenevo troppo alla sua realizzazione. Ma poi si è dovuta licenziare…». Ora però Manuela ha vinto il concorso per ricercatore all’università di Palermo (unica donna tra i candidati) e il marito, in attesa del trasferimento, la raggiunge spesso grazie alle “ferie solidali” offerte dai colleghi poliziotti di Padova.
E nonostante la drammatica storia che li ha travolto il desiderio di andare avanti non si arresta. «La vita senza Mario sarebbe inimmaginabile. Dove andrei io senza di loro?», si commuove all’Avvenire Giovanni, «Manuela non è solo mia moglie, è la mia amica, siamo due anime ma una sola testa». (redazione@corrierecal.it)

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