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La vicenda di Ionel Arsène, diventata un caso giudiziario

I legali: «Estradizione internazionale ad alto rischio di persecuzione politica»

Pubblicato il: 05/11/2023 – 21:32
La vicenda di Ionel Arsène, diventata un caso giudiziario

ROMA La vicenda giudiziaria di Ionel Arsène, 51 anni, è diventata un caso giudiziario. Militante del partito social democratico, leader per diverso tempo in Romania, già deputato del parlamento rumeno e governatore della regione del Neamt, Arsène, è stato accusato di traffico d’influenza in due distinti procedimenti relativi a due atti commessi nel 2013 e nel 2015. Secondo la Dda romena, l’uomo aveva chiesto una tangente di oltre 3 milioni di “lei” a un uomo d’affari.
Lo scorso 10 marzo, la Corte d’Appello di Brasov ha condannato Ionel Arsène a 5 anni di carcere per traffico d’influenza nel primo procedimento e ì ad altri 5 anni il secondo, tutto ricongiunto, poi, in una condanna definitiva a 6 anni e 8 mesi di reclusione. Dopo la condanna, per il 51enne è stato emesso un mandato di arresto europeo oltre alla confisca delle somme di 80 mila euro e 150 mila lei. L’uomo si trova al momento in Italia, in cui vive da oltre cinque anni, insieme alla moglie e al figlio, ed è in attesa dell’esecuzione della sentenza definitiva della Corte d’appello di Bari (Italia) che ha accolto la sua consegna verso la Romania, dove dovrà scontare la pena che gli è stata inflitta. I suoi difensori sono l’avvocato professor Alfredo Gaito e dall’avvocato Mario Antinucci.

I legali: «Arsène non può essere estradato»

Proprio gli avvocati Gaito e Antinucci sostengono che Arsène, essendo residente in Italia da oltre cinque anni, non possa essere estradato. «La grave violazione della normativa interna ed europea – evidenziano i legali – in contrasto con le regole del Giusto processo europeo sotto il profilo della violazione dell’art. 2, 3, 6 ed 8 C.E.D.U., integra gli estremi della nullità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 18 bis, 2° co., bis, Legge 22 aprile 2005, n. 69, nella parte in cui non ha accertato la legittima ed effettiva dimora del ricorrente, in via continuativa, da almeno cinque anni in Italia, in applicazione delle recenti modifiche legislative introdotte in Italia dalla Legge 10 agosto 2023, n. 10, nonché della recente giurisprudenza interna della Corte costituzionale e della Corte di cassazione. L’omesso controllo della Corte d’appello sull’effettivo radicamento reale e non estemporaneo di Arsène in Italia, così come dimostrato dalla produzione documentale difensiva discutibilmente ignorata dalla Corte d’appello di Bari con deduzioni logiche altamente congetturali, solleva il dubbio sul rischio attuale di persecuzione politica di Ionel Arsène, il più importante leader politico del gruppo dirigente del precedente governo della Romania fortemente avversato da quello attualmente in carica». «Peraltro – proseguono Gaito e Antinucci – la consegna contrasta con la finalità rieducativa della pena poiché l’esecuzione all’estero della pena inflitta a carico di una persona che ha saldamente stabilito in Italia le proprie relazioni familiari e sociali finisce per ostacolare il reinserimento sociale dell’individuo al termine dell’esecuzione della condanna e quindi lo scopo rieducativo cui la sanzione deve tendere».
Arsène soffre di gravi patologie anche di natura neuro-psichiatrica e questo è stato accertato e documentato dai consulenti della difesa, dottor Nicolò Falchi Delitala neuro-psichiatra dell’Ospedale S. Giovanni di Roma, dottoressa Roberta Russo psicologa forense di Roma specialista nella osservazione scientifica e trattamento nei circuiti penitenziari, dottor Gian Francesco Mureddu cardiologo specialista dell’Ospedale S. Giovanni di Roma. «Tuttavia – sottolineano sempre i legali – è ignorato dalla Corte d’Appello di Bari che non ha disposto perizia, pur ricorrendone i presupposti di legge.
La Corte d’appello di Bari ha sommariamente dedotto il deposito di relazioni psichiatriche del dottor Nicolò Falchi Delitala a pagina 3, par. 1.9 della sentenza: « … Nelle more del processo di rinvio, nell’interesse del consegnando, il difensore presentava relazioni psichiatriche, con allegata documentazione sanitaria, rilasciate da struttura pubblica (A.S.L. R.M. 2) che evidenziavano nella persona diIonel Arsène a causa del processo subito in Romania e da costui ritenuto sommariamente ingiusto, una condizione clinica che integra i cinque criteri diagnostici previsti per la diagnosi di Disturbo Depressivo Maggiore di entità grave con caratteristiche melanconiche secondo il DSM5 – TR 2022 ed è ad alto rischio suicidiario in caso di accoglimento ella richiesta di consegna (testualmente si legge nella relazione del 4.09.2023: … Il rischio suicidiario è molto elevato ad aumenterebbe in modo esponenziale in caso di estradizione… )».
Successivamente nella sentenza si legge: «… Le condizioni di salute di Ionel Arsène, così come documentate, saranno tutelate dal sistema sanitario dello Stato membro di emissione, avendo, questo, dato assicurazione sul punto attraverso le informazioni sopra richiamate, dalle quali risulta che le strutture carcerarie coinvolte garantiscono l’assistenza anche psichiatrica dei detenuti…».
Di talché la Corte d’appello di Bari, in luogo di un accertamento effettivo della circostanza dedotta nelle allegazioni difensive, ha “liquidato” l’elemento istruttorio delle condizioni di salute di Ionel Arsène con le modalità di rinvio alle informazioni comunicate dallo Stato richiedente, pervenendo così alla sostanziale equiparazione delle condizioni di salute dell’estradano rispetto alla tutela inframuraria nella sede penitenziaria, in aperto contrasto con le regole del Giusto processo di estradizione ormai condivise in letteratura e giurisprudenza interna e sovranazionale (artt. 111 Cost., 2, 3 e 6 C.E.D.U.).
Qualora, infatti, la consegna della persona richiesta la esponesse a simili rischi, la sua effettiva esecuzione risulterebbe incompatibile con il diritto di tale persona a non subire trattamenti inumani o degradanti, sancito dall’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali UE (C.D.F.U.E., paragrafi da 39 a 41).
Il tutto in un’ottica di contemperamento tra le ragioni di salvaguardia della salute della persona richiesta – che è oggetto di tutela tanto nell’ordinamento costituzionale nazionale, ai sensi degli artt. 2 e 32 Cost., quanto nell’ordinamento dell’Unione, ai sensi degli artt. 3, 4 e 35 C.D.F.U.E. – così come dell’«interesse a perseguire i sospetti autori di reato, ad accertarne la responsabilità e, se giudicati colpevoli, ad assicurare nei loro confronti l’esecuzione della pena» nello spazio giuridico europeo.

«Ignorato il rischio suicidiario in caso di consegna»

La Corte d’Appello di Bari – affermano sempre gli avvocati di Arsène – ha soltanto asserito la sussistenza di cure mediche nelle carceri rumene, ma ha del tutto ignorato quanto scientemente indicato dai consulenti circa il rischio suicidiario in caso di consegna. Peraltro la documentazione prodotta dalla difesa circa la situazione carceraria rumena e la gestione delle cure mediche, del tutto ignorata dalla Corte territoriale, pone seri dubbi sul trattamento carcerario e medico riservato al consegnando, dimostrando come la Romania non sia affatto un modello di best practice carceraria, con ciò, la violazione degli artt. 2 e 3 C.E.D.U., diritto alla vita e proibizione della tortura. Di contro, una volta accertati tutti i presupposti che legittimano la consegna, così come l’assenza di cause ostative ai sensi degli artt. 18 e 18-bis della legge n. 69 del 2005, la Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare l’eventuale sussistenza di una situazione di grave malattia della persona ricercata, nonché di «motivi seri e comprovati di ritenere che [la] consegna esporrebbe la persona in questione ad un rischio reale di riduzione significativa della sua aspettativa di vita o di deterioramento rapido, significativo e irrimediabile del suo stato di salute» (Corte di giustizia, sentenza E. D.L. 2022).
Nel caso in cui la Corte riscontri l’effettiva sussistenza di tali condizioni, essa dovrà – secondo quanto stabilito, ancora, nel secondo alinea del dispositivo della sentenza E. D.L.7 – sospendere la decisione sulla consegna, e «sollecitare l’autorità giudiziaria emittente a trasmettere qualsiasi informazione relativa alle condizioni nelle quali si prevede di perseguire o di detenere detta persona, nonché alle possibilità di adeguare tali condizioni allo stato di salute della persona stessa al fine di prevenire il concretizzarsi di tale rischio», secondo le modalità previste dall’art. 16 della legge n. 69 del 2005 e già utilizzate dalle corti d’appello per effettuare gli accertamenti circa l’effettiva sussistenza di un «rischio concreto di trattamento inumano o degradante» in conseguenza di situazioni di sovraffollamento carcerario nello Stato emittente, in conformità alla sentenza Aranyosi e Caldararu, ovvero di un «rischio reale di violazione del diritto fondamentale a un equo processo», in conformità alla sentenza LM.
«Esauriti i mezzi d’impugnazione interni – scrivono gli avvocati – si può ipotizzare, al di là della richiesta cautelare, la violazione dell’equo processo ex art. 6 C.E.D.U. per avere la Corte rigettato la questione di costituzionalità sancendo in modo definitivo la compromissione del diritto di difesa nonché la violazione del diritto all’effettività del giudizio e del controllo in netto contrasto con l’art. 111 Cost. Ricorrendo tutti i presupposti di legge per la prova dell’irreparabile compromissione del diritto che si assume violato in pendenza del giudizio o nella prospettiva di instaurazione del medesimo si chiede alla Corte europea la difesa dell’On. le Ionel Arsène con l’avv. prof. Alfredo Gaito e l’avv. Mario Antinucci ha fatto istanza alla C.E.D.U. ai sensi dell’art. 39 del Regolamento, di agire con urgenza nel trattare il ricorso e disporre le misure eccezionali “ad interim” per sospendere l’efficacia della sentenza della Corte d’appello di Bari del 12 ottobre 2023 che ha accolto il mandato di arresto europeo onde scongiurare conseguenze irreversibili per la salute e sicurezza del ricorrente».

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