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un anno di giudiziaria

Valle dell’Esaro, il presente giudiziario degli “eredi” di Franco Presta e il “Reset” futuro

Riconosciuta l’esistenza di una associazione “semplice”. Chiuso il primo step giudiziario dell’inchiesta coordinata dalla Dda

Pubblicato il: 31/12/2023 – 9:04
di Fabio Benincasa
Valle dell’Esaro, il presente giudiziario degli “eredi” di Franco Presta e il “Reset” futuro

COSENZA Quel gruppo criminale che muoveva i propri tentacoli a Tarsia, AltomonteSpezzano Albanese, San Lorenzo del Vallo e Roggiano Gravina ma con connessioni anche nel reggino era espressione di una associazione “semplice” e non legata alla ‘ndrangheta. Il 20 dicembre 2023, dopo anni di processo e al termine di giornate intense trascorse sui banchi del Tribunale di Cosenza a controbattere le tesi accusatorie della Dda di Catanzaro, rappresentata in aula dal pm Alessandro Riello, gli imputati e gli avvocati del collegio difensivo hanno ascoltato la lettura del dispositivo di sentenza emessa dal Collegio giudicante (presidente Carmen Ciarcia).
Facce tese e reazioni contrastanti hanno fatto da contorno al lungo elenco di nomi associati alle relative condanne, pesanti per alcuni soggetti ritenuti elementi cardine dell’associazione e del “Gruppo Presta“, più lievi per chi è stato riconosciuto responsabile, ma con una partecipazione minore e assai diversa rispetto a vertici della piramide. La Valle dell’Esaro è stata “governata” da un sodalizio capace di imporre estorsioni e soprattutto dedicato al narcotraffico.

Gli “eredi” di Franco Presta

Francesco Presta è considerato un killer «di rara freddezza e capacità», un criminale di grande capacità operativa: Francesco Presta. Affiliato con “dote” elevata, era considerato uno dei massimi esponenti di quello che attualmente viene indicato come clan Lanzino-Patitucci. Con il tempo, «ha formato una sua ‘ndrina, federata al clan cosentino, attiva sul territorio della Valle dell’Esaro che ricomprende i comuni cosentini di Tarsia, San Marco Argentano, San Lorenzo del Vallo, Spezzano Albanese, Roggiano Gravina, Acri e aree limitrofe». La direzione del gruppo poi sarebbe passata nelle mani di Antonio “Tonino” Presta, arrestato per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti nell’ambito dell’operazione Valle dell’Esaro. Il procedimento, concluso dinanzi al Tribunale di Cosenza, si è arricchito delle dichiarazioni rese dal fratello di Antonio, Roberto Presta (qui le confessioni). Il nome di Franco Presta compare anche nella maxi inchiesta contro la ‘ndrangheta cosentina denominata “Reset“. Nel corso del processo con rito abbreviato – celebrato in aula bunker a Catanzaro – i pm della Dda hanno invocato una pena a 20 anni di reclusione per lo storico riferimento della mala della Valle dell’Esaro. (“RESET”, TUTTE LE RICHIESTE DI PENA)

Franco-Presta
Franco Presta

L’organizzazione del gruppo

Nonostante la detenzione, Franco Presta – come emerso nell’inchiesta “Reset” – continuerebbe a rappresentare il riferimento ed il capo della ‘ndrina, «venendo puntualmente informato delle principali attività criminali e percependo il “mantenimento” in carcere. A lui ed alla sua famiglia sono destinate parti cospicue del provento illecito dell’ingente traffico di stupefacenti posto in essere dall’investigato sodalizio». A confermare l’ipotesi degli investigatori è il pentito e cugino di Franco Presta, Roberto Presta: «Preciso che, benché Franco Presta sia detenuto all’ergastolo, egli rimane sempre il Capo dell’associazioneAntonio Presta è stato designato come capo del gruppo in libertà. Questo dato si spiega anche con il fatto che, per quanto detenuto all’ergastolo, c’è sempre la possibilità di provare a intervenire per farlo uscire dal carcere». E’ il 4 maggio 2021 quando il collaboratore inizia a rendere edotti gli investigatori sulle attività e l’organizzazione del gruppo.

La droga

«La droga non è oro, lo diventa nel momento in cui c’è qualcuno disposto ad acquistarla». E’ il sostituto procuratore di Catanzaro Alessandro Riello, a sostenerlo nel corso della lunga requisitoria. Un affare quello della polvere bianca che avrebbe arricchito le casse della cosca. «Mi occupavo del traffico di stupefacenti, acquistando la droga da mio fratello Antonio Presta che mi indicava dove andare a ritirare, di volta in volta, lo stupefacente dalla persona preposta. Mi mandava a San Lorenzo del Vallo ad incontrare Antonio Giannetta proveniente dalla provincia di Reggio Calabria». A parlare è il collaboratore di giustizia Roberto Presta. Che con le sue confessioni ha reso – in aula – particolari inediti sul presunto modus operandi del gruppo e sul principale business: il narcotraffico. La figura richiamata dal pentito è quella del “riggitano” Giannetta, condannato in primo grado a 12 anni. Quest’ultimo è considerato il trait d’union tra i Presta e il resto della Calabria, un «trafficante di stupefacenti contiguo alle cosche di ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro».

I riflessi sul processo “Reset”

La sentenza emessa avrà inevitabilmente riflessi importanti sul processo “Reset“, celebrato con rito ordinario dinanzi al Tribunale di Cosenza ed ospitato in aula bunker a Lamezia Terme. Nel procedimento, la Dda di Catanzaro che ha coordinato l’inchiesta contro la ‘ndrangheta cosentina ritiene valida e fondata la tesi dell’esistenza di una Confederazione sorretta da sette diversi gruppi criminali, tra questi figura anche quello che farebbe capo alla famiglia Presta. E’ chiaro che il riconoscimento dell’associazione, a seguito della sentenza pronunciata ieri, rappresenti un elemento utile all’accusa, ma è inevitabile soffermarsi sulla natura della associazione stessa. Che per il Collegio giudicante cosentino è “semplice” e non collegata alla ‘ndrangheta.
(f.benincasa@corrierecal.it)

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