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I narco-laboratori “cinesi” in Calabria. Tre blitz e una tonnellata di marijuana sequestrata

Si chiude il cerchio sulle indagini che hanno portato al fermo di cinque persone. Avevano creato delle centrali della droga, spedita in Olanda

Pubblicato il: 18/01/2024 – 8:17
di Fabio Benincasa
I narco-laboratori “cinesi” in Calabria. Tre blitz e una tonnellata di marijuana sequestrata

COSENZA Tre maxi sequestri in sei mesi, una tonnellata di marijuana rinvenuta, tre capannoni industriali trasformati in centrali della droga. La Polizia di Stato, su impulso della Dda di Catanzaro, coordinata dal Questore di Cosenza Giuseppe Cannizzaro e sotto la guida di Giuseppe Zanfini, dirigente del commissariato di Corigliano-Rossano ha scoperto una rotta della droga che unisce la Calabria all’Olanda. L’ultimo blitz, martedì sera a Castrovillari. Gli agenti entrano in azione, quando il sole è tramontato. Le sirene illuminano un capannone posto nella zona industriale di Castrovillari, è lì che gli investigatori contano di trovare sacchi pieni di marijuana ed è li, che una volta entrati in azione, si ritrovano una vera e propria centrale della droga e circa 500kd di marijuana. Lo stupefacente prodotto in Italia, nelle province di Cosenza e Catanzaro, veniva coltivato in impianti di produzione grazie a delle “serre indoor”.
Quanto scoperto martedì scorso, infatti, riporta gli agenti a due sequestri effettuati nello scorso mese di luglio. Uno a Santa Sofia d’Epiro, l’altro a Luzzi. I due comuni ricadono nella Valle del Crati, zona spesso attenzionata dalle forze dell’ordine per quanto attiene il fenomeno legato allo spaccio. All’interno dei capannoni adibiti a centrale della droga, sono stati rinvenuti – in entrambe le operazioni – non solo i medesimi quantitativi di stupefacente (quasi 500 kg in totale) ma anche il materiale utilizzato per la lavorazione, la produzione e il confezionamento.

Il cerchio si chiude

Il cerchio sulle indagini si chiude, almeno per quanto riguarda le attività svolte in questi mesi. Tuttavia, ciò che sorprende non è la capacità dei presunti responsabili, cinque le persone arrestate al termine del blitz, di organizzare la lavorazione e la produzione della marijuana ma la bravura nel “clonare” il modus operandi tipico della criminalità organizzata calabrese. La droga veniva trasportata all’estero e ceduta a soggetti, che sarebbero in corso di identificazione da parte della Polizia Olandese, con la quale gli investigatori italiani sono in stretto contatto.
L’organizzazione dei cinque era maniacale, ognuno aveva un compito da portare a termine. C’era chi si occupava di reclutare e gestire manovalanza utile sia alla coltivazione dello stupefacente sia a presidiare gli impianti e chi invece si occupava di reperire le attrezzature necessarie per realizzare i sistemi coltivazione. E poi, ovviamente, c’era chi materialmente organizzava, il confezionamento, il trasporto e l’invio dei pacchi contenenti sostanza stupefacente, attraverso diverse compagnie di spedizione.

Il monitoraggio

Gli investigatori italiani, dopo i primi due blitz hanno intensificato l’attività di indagine. I presunti responsabili sono stati monitorati, intercettati, seguiti (grazie ai dispositivi Gps installati sulle loro auto). Ore e ore di attività sfociate poi nel conclusivo blitz di 48 ore fa.

Il sistema cinese e gli affari con la ‘ndrangheta

Non si sa, se la ‘ndrangheta sia o meno collegata a quanto realizzato dai cinque presunti responsabili fermati dalla Polizia cosentina. Ciò che è stato documentato, nel recente passato, è un presunto canale tra la Cina e la criminalità organizzata calabrese. Una circostanza emersa quasi per caso, per via di un cittadino cinese fermato a un posto di blocco in periferia con centinaia di migliaia di euro nel bagagliaio. Le verifiche hanno mostrato le relazioni con la ‘ndrangheta e dopo gli approfondimenti investigativi è apparso lo schema. In cambio del cash – ricostruisce un’inchiesta recente di Repubblica –, gli uomini del clan bonificano lo stesso importo, con l’aggiunta di una percentuale di commissione, ad aziende di Hong Kong o a Shanghai. Il tutto giustificato da fatture false per importazioni di beni. La ‘ndrangheta, di solito pronta a “sposare” le innovazioni per fare business, questa volta si serve di un sistema antico, che torna utile proprio perché basato sul contante. È il “fei ch’ien” ossia il “denaro volante”, unica maniera di mandare i soldi a casa per gli emigrati senza documenti. Ora serve a saldare i conti tra trafficanti di cocaina. Il procuratore nazionale antimafia Gianni Melillo lo ha spiegato così: «In questa dimensione, un potente sistema bancario parallelo e clandestino gestisce dalla rete il volume degli scambi commerciali, il che consente a ogni attore di manovrare le proprie scelte finanziarie, superando le difficoltà e i costi del trasferimento transfrontaliero del denaro». 
(f.benincasa@corrierecal.it)

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