«Pagare moneta, vedere cammello». Con queste parole, il presidente Roberto Occhiuto ha spiegato di recente la sua posizione sull’autonomia differenziata. Il regionalismo rafforzato è solo una questione di soldi e tabelle di garanzia potenziale come sostiene il centrodestra, oppure su materie fondamentali, per esempio sulla sanità, occorre, è la tesi del centrosinistra, la mano terza dello Stato, l’unica in grado di evitare o ridurre diseguaglianze e ingiustizie territoriali?
La teoria è utile, ma non impedisce ai fatti di accadere, sosteneva il neurologo francese Jean-Martin Charcot. In Calabria c’è un elemento da non sottovalutare: la cultura intesa come mentalità dominante, in virtù della quale, anni addietro, i vertici delle aziende del Servizio sanitario regionale si autoliquidarono un bonus di produttività di decine di migliaia di euro, pur senza risultati rilevanti da vantare. Poi un commissario aziendale provò a piazzare nel suo ufficio la propria figlia, sebbene a titolo gratuito. Prima ancora, avevamo visto due nomine apicali vietate dalla normativa anticorruzione, finite nel dimenticatoio e talvolta coperte, legittimate da una retorica radical chic o da complottismo della stessa specie. Per non parlare dei primari a vita senza concorso, una costante della sanità calabrese, o degli accreditamenti d’imperio delle strutture pubbliche, cioè quel “condono” universale, precedente all’avvio del Piano di rientro, su cui ancora oggi si regge il sistema dell’assistenza ospedaliera.
Come interpretare la nota del 23 febbraio scorso con cui il commissario straordinario dell’Asp di Crotone, Antonio Brambilla, comunicava al giovane Luca Garofalo, disabile affetto da gravissima malattia degenerativa, che la sua richiesta di una particolare carrozzina elettrica era stata ritenuta «non appropriata e comunque non compatibile» in base all’articolo 1, comma 5, del decreto ministeriale numero 332 del 1999, se, applicando il comma successivo, la fornitura poteva essere autorizzata senza rischi di sanzioni, richiami e conseguenze di sorta? Si è trattato di eccesso di zelo di fronte a un ragazzo che non cammina né riuscirà a recuperare l’uso delle gambe? Bisognava dare una prova di austerità a tutta l’Italia, atteso che la stessa azienda pubblica della salute ha da poco perduto sette medici titolari, dimissionari, e da tempo appaltato all’esterno buona parte della chirurgia e della radiologia?
E come la mettiamo con la clinica psichiatrica in cui sarebbe avvenuta una violenza sessuale a danno di una paziente, prima negata all’interno in malo modo, poi, a quanto pare, ammessa in forme ancora peggiori? È stata la prassi calabrese del «mi ’nde futtu», sul presupposto che al malato mentale si possa all’occorrenza imputare, in Calabria come un tempo dallo Steinhof, mitomania, delirio o percezione alterata, così nascondendo le proprie responsabilità o giustificando irresponsabilità collettive? E chi ha permesso, prima che arrivasse Roberto Occhiuto a ristabilire le regole di spesa vigenti, che i ricoverati in codeste strutture pagassero per anni somme non dovute, per un totale di circa un centinaio di milioni di euro? E perché, guardando a un’altra area assistenziale, le nuove mamme devono essere maltrattate nei Punti nascita pubblici, ricevere risposte sgarbate o attendere i comodi di parte del personale, magari anche quando immobili e doloranti per le cuciture del parto cesareo? Quale cammello potremo vedere, se lo Stato pagherà la moneta dovuta? Basta l’indubbia volontà del presidente della Regione a cambiare una mentalità radicata, secondo cui è naturale ciò che non è affatto normale e chi fa danni ha il diritto di restare al suo posto?
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