Riunione redazionale, in un ufficio di una grande città del Nord, molti anni fa. Si deve decidere come inserire le montagne del Sud Italia in un’importante collana di libri. L’arco alpino ha già beneficiato di una serie nutrita di volumi della stessa collana dedicati a ciascuno specifico settore delle Alpi. Gli Appennini ne hanno pochissimi. L’editore ha già deciso che per il Sud, dalla Campania alla Calabria, “basta” un solo volume. Qualcuno spiega il progetto. La parola passa al direttore della collana, un famoso alpinista e giornalista del Nord. Questi alza lo sguardo e dice: “ma perché, al Sud ci sono montagne?” La domanda forse è provocatoria, come a voler dire: “era ora che vi accorgeste di avere anche voi delle montagne”. O forse è ironicamente rivelatrice di un pregiudizio, all’epoca ancora diffuso: al Sud non ci sono montagne degne di questo nome. Il Sud deve rimanere noto al grande pubblico solo per il mare. Tutto questo perché l’Appennino Meridionale non ha vette eccelse e ghiacciai. Non ha, cioè, le forme iconiche delle montagne, così come le ha “inventate” l’alpinismo e, a seguire, il turismo di massa. Prima dell’“Invenzione del Monte Bianco”, come recita un famoso libro di Philippe Joutard, le montagne erano montagne ovunque, a prescindere dalla loro altezza e dalle loro forme, e in esse viveva una gran parte della civiltà umana. Soprattutto al Sud Europa, dove le coste e le pianure erano, in larga parte, infestate dalla malaria, funestate dalle alluvioni, invase dalla pirateria e gran parte delle economie rurali e manifatturiere erano dislocate in altura.
Ho raccontato l’aneddoto per tornare su un tema a me caro, quello delle montagne calabresi. Nel 2020, per Rubbettino è uscito un volume collettaneo quasi “definitivo” sull’argomento, curato da Giovanna De Sensi Sestito e Tonino Ceravolo, al quale ho collaborato. Dico definitivo perché in questo libro vi è gran parte di ciò che tutti dovrebbero sapere sulle montagne della nostra regione. Forse è anche per questo motivo che il volume ha vinto il Premio Gambrinus “Giuseppe Mazzotti” nel 2021 a Treviso, con una motivazione eloquente che attiene all’eminenza (poco nota) della storia, della cultura, dei paesaggi, dell’economia delle montagne calabresi rievocate dal volume. Forse, se il direttore della collana di cui sopra avesse avuto l’opportunità di leggere questa e le altre sparute pubblicazioni sull’argomento, non avrebbe mai pronunciato la fatidica domanda.
Ma gli stereotipi sulle montagne del Sud sono duri da sradicare, ancora oggi. Racconto un altro aneddoto, questa volta recentissimo. Accompagno un manager del Nord che lavora temporaneamente in Calabria. Lo porto in una nota zona di montagna dove sono racchiuse diverse realtà imprenditoriali di eccellenza che funzionano nonostante le difficoltà dovute alla loro dislocazione. E, attenzione, non glielo sto imponendo io: è lui che mi ha chiesto aiuto per una certa cosa. Ed io, in modo del tutto gratuito, mi sono prestato. Mentre ci avviciniamo alla meta, mi dice: “Vorrei prendere un caffè; tu credi che a … ci sia un bar?” Neppure fossimo nel Sahara! Sorbito il caffè e andato in bagno (presumo che fosse pulito, perché altrimenti me l’avrebbe fatto notare), passiamo dalla prima realtà imprenditoriale, dove una ragazza ci fa da Cicerone. Poi passiamo all’altra, dove si svolge la riunione. A conclusione di tutto, qualche battuta infelice – tendente a denigrare ciò che ha visto – gli viene perdonata dalla compassione mia e dei miei amici. Rientriamo e nell’osservare il paesaggio e ciò che esso contiene, il manager è sempre e solo critico, nonostante i miei sforzi per cercare di fargli comprendere che il Sud non potrà mai essere la fotocopia del Nord: affollato, efficiente, preciso, ricco, razionale. Non foss’altro per una questione di latitudine, di clima, di storia. E che forse non è un male che sia effettivamente diverso dal Nord.
Provo a spiegare qui quel che ho inteso dire al mio amico in quell’occasione. Non posso certo pretendere che chi vive con questo tipo di pregiudizi legga Franco Cassano e “Il pensiero meridiano” o “Tre modi di vedere il Sud” Oppure, di Mario Alcaro “Sull’identità medridionale”, oppure “Breve storia dell’Italia Meridionale, dall’Ottocento ad oggi” di Piero Bevilacqua, o “La razza maledetta” o “Maledetto Sud” di Vito Teti, (giusto per citare qualche testo fondamentale). Capisco che nelle montagne di casa sua contano solo i numeri e le quantità (proprio come per i vecchi alpinisti, per i quali contavano solo la quota, i picchi rocciosi e il ghiaccio). Ma è curioso come egli non si renda conto che vivere e lavorare in montagne (chiamatele, se volete, anche aree interne) del Sud è dieci volte più arduo che sulle Alpi: emigrazione, spopolamento, mancanza di servizi pubblici efficienti, abbandono rendono chi resta una specie di don Chisciotte, un idealista, anzi, un tipo molto concreto, visto che i problemi deve risolverseli in gran parte da solo.
E allora perché “al Sud non ci sono montagne?” Domanda complicata, sulla quale dovremmo cominciare ad interrogarci proprio noi del Sud. Perché, tanto, a molti di quelli del Nord importa poco (fatte le debite eccezioni). Anzi … anzi, a ben vede, gli importa pure, ma solo quando vorrebbero piazzare un bel parco eolico sui nostri crinali, qualche centrale idroelettrica nei nostri fiumi, qualche discarica nelle nostre valli. Oppure ci pensano quando ci devono vendere tecnologie per scarrozzarci in cabinovie sino alle nostre cime e per consentirci di scendere, sci ai piedi, lungo piste innevate artificialmente, sulle quali però la neve artificiale non riesce ad attecchire. Oppure gli importa quando s’inventano truffe come l’autonomia differenziata. Quindi non ci resta che interrogarci noi su cosa sono (e se davvero ci sono) le montagne al Sud. E non accorgercene, invece, solo a ferragosto ed a pasquetta o la domenica, per andarci a mangiare, o quando qualcuno organizza un bel pullman per scaricare cittadini annoiati nelle vie di un villaggio turistico. Ah, dimenticavo, il turismo! Dovremmo provare anche a pensare ad un altro turismo per le nostre montagne. Visto che il turismo di massa che ha stravolto alcune zone delle Alpi da noi non funziona, nonostante, in suo nome, abbiamo riempito di cemento, asfalto e ferro (oltre che di spazzatura) i nostri paesaggi montani più belli. Parafrasando Benedetto Croce – che si riferiva al detto secondo cui “il Sud è un paradiso abitato dai diavoli”- direi allora, che benché i pregiudizi sulle montagne del Sud non abbiano alcun fondamento, noi meridionali (noi calabresi in particolare) dovremmo invece ritenerli veri, per fare in modo che, grazie al nostro impegno, alla nostra dedizione ed alla nostra passione, essi divengano sempre meno veri.
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