CATANZARO Prosegue l’emorragia della popolazione dalle aree interne della Penisola. E la Calabria subito dopo la Basilicata ed il Molise è la regione che sta perdendo più di altre regioni fette di chi risiede nelle zone considerate per questo più periferiche.
A denunciarlo per ultimo “Il Sole 24 Ore” che su quest’allarme dedica nell’edizione domenicale l’apertura del giornale.
Stando ai dati messi in fila dal quotidiano di Confindustria, ben il 58,4% dei comuni cioè 236 realtà su 404 in Calabria hanno registrato un tasso di crescita continuo negativo (inferiore cioè al -4% annuo).
Peggio della Calabria ha fatto la Basilicata (68,7%, 90 comuni su 131), seguita a breve distanza dal Molise (60,3%, 82 comuni su 136).
Un dato che dimostra ancora una volta come il tema della fragilità di questi territori – e conseguentemente la loro tenuta socio-economica – dovrebbe essere centrale nell’agenda dei decisori politici. Soprattutto per la Calabria.
Numeri alla mano, nella regione sono presenti 319 comuni in territorio classificati come area interna: circa 80% del totale (per l’esattezza il 78,7%). Una percentuale di gran lunga superiore a quella italiana che si ferma al 52%. Una categoria che tratteggia cioè quei comuni che ricadono nelle aree intermedie, periferiche ed ultra periferiche. Una distinzione effettuata sulla base della distanza in termini temporali dai centri che garantiscono l’accesso ai servizi essenziali: istruzione, salute e mobilità. In questi territori calabresi vive poco più del 50% della popolazione. In particolare nei comuni periferici ed ultra periferici. Qui l’incidenza è pari al 40% contro la media nazionale del 22,5%.
Sono dunque aree che, per numeri, dovrebbero essere tutt’altro che marginali vista l’estensione del territorio ed il numero di popolazione interessata.
Ma che finora la mancanza di una strategia lungimirante tesa a garantire i livelli minimi di servizi ha finito per penalizzare. E gli effetti si sono tradotti proprio nella fuga da queste aree determinando il progressivo fenomeno del calo demografico a cui fa da contraltare naturale l’indebolimento del tessuto sociale e produttivo locale.
Stando agli indicatori dell’Istat, dal 1981 al 2011 si è assistito ad un vero e proprio esodo da questi territori. Soprattutto nei comuni ricadenti nelle aree ultra-periferiche. In questo lasso di tempo infatti la variazione della popolazione è stata pari al 27,21%.
Una flessione consistente che ha interessato anche le zona periferiche: qui la popolazione in 30 anni è diminuita di oltre il 15%. Seppure il fenomeno dello spopolamento interessi l’intera regione, il dato è nettamente superiore alla media regionale del periodo (-5,05%). A dimostrazione della fragilità di queste aree periferiche della Calabria.
Una fragilità che è dimostrabile anche da altri indicatori: il tasso d’invecchiamento della popolazione residente, l’alta percentuale di soggetti dipendenti (cioè persone non in età lavorativa) e il basso reddito pro capite.
Nei comuni che rientrano nelle aree ultra periferiche, l’indice di vecchiaia (rapporto percentuale tra ultrasessantacinquenni e popolazione con meno di 15 anni) è pari a 211,40, mentre in quelle periferiche questo parametro resta comunque elevato (173,04) rispetto alla media regionale (146,88). Così come resta per entrambe le aree alto l’indice di dipendenza: 57,48 (comuni ultra periferici), 54,33 (comuni periferici). Da qui l’importanza di avviare politiche attive per garantire livelli minimi di servizi essenziali per le popolazioni che qui vi risiedono. Accanto ad interventi tesi a creare le basi di sviluppo di attività sostenibili per questi territori. (r.desanto@corrierecal.it)
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