MILANO Uno «schema illecito» ricorrente e messo in piedi con la consapevolezza di «ledere la garanzia dei creditori», replicandolo «in ogni società di cui diventano gestori di fatto». È il quadro ricostruito dagli uomini della Guardia di Finanza – coordinati dalla Distrettuale antimafia di Milano e dal pm Sara Ombra e l’aggiunta Laura Pedio – e che ha portato all’arresto dei due fratelli Pasquale e Vincenzo Palamara. Il primo, classe ’76 nato a Melito Porto Salvo, il secondo, classe ’67, nato a San Lorenzo, entrambi finiti in carcere su ordine del gip Luigi Iannelli con l’accusa di bancarotta fraudolenta. Blitz scaturito da una approfondita attività investigativa che ha acceso i riflettori su una serie di società, due in particolare: la “Palamara Scavi Srl” e la “Borgoagnello Costruzioni s.r.l.”, la prima dichiarata fallita dal Tribunale di Milano nel 2019, la seconda in liquidazione giudiziale sempre su ordine del Tribunale di Milano. Entrambi, questa mattina, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere nell’interrogatorio di garanzia.
Ammonterebbero a 1.247.462,01 euro i fondi “distratti” dalla “Palamara Scavi Srl”, a 745.397,70 euro quelli distratti dalla “Borgoagnello Costruzioni s.r.l.” «attraverso un serie di operazioni dolose e causandone lo stato di insolvenza», annota il gip nell’ordinanza. Già perché secondo l’accusa, e come riportato dal gip, i fratelli Palamara in primo luogo avrebbero «depauperato il patrimonio della “Palamara Scavi Srl”, impiegandone le risorse positive nella “Borgoagnello Costruzioni s.r.l.” o a loro esclusivo beneficio» e successivamente avrebbero ripetuto lo stesso schema «depauperando il patrimonio della “Borgoagnello Costruzioni s.r.l.”, spogliandola di tutte le componenti positive di reddito e gravandola di componenti negative». Secondo gli inquirenti, inoltre, la stessa cosa si starebbe ripetendo «ai danni della “Cave di Romagnano Sesia s.r.l.”». In buona sostanza, secondo la tesi dell’accusa e riportata dal gip nell’ordinanza, i due fratelli Palamara avrebbero «realizzato una complessiva e sistematica opera di svuotamento di entrambe le società» realizzata, almeno inizialmente, attraverso «il trasferimento del denaro, dei dipendenti, dei mezzi meccanici e gran parte della clientela verso la “Borgoagnello Costruzioni s.r.l.”» e in un secondo momento «da questa società verso la “Cave di Romagnano Sesia s.r.l.”».
Società “clone” messe in piedi anche l’ausilio di veri e propri prestanome, un meccanismo che avrebbe permesso ad entrambi di «proseguire l’attività d’impresa» annota il gip nell’ordinanza «liberi dal peso delle iscrizioni a ruolo – che ammontano a 269.645,33 euro – dei decreti ingiuntivi (pari a 228.240,24 euro), degli avvisi di accertamento – quantificati in 35.071,99 euro – dei debiti verso l’INAIL, INPS e Cassa Edile per complessivi 93.006,62 euro, nonché di tutti i vari debiti verso i fornitori che incombevano sulla fallita “Palamara Scavi Srl”». «… io e Pasquale con la Borgoagnello siamo partiti da zero, anzi sottozero, perché non aveva niente, noi in venti mesi abbiamo fatturato 12 milioni di euro, i documenti il commercialista li ha tutti».
Secondo la tesi accusatoria, inoltre, si trattava di un piano delittuoso, ideato dai fratelli Palamara, incentrata su un’opera di «dissimulazione i quali, dopo la morte della madre e di un fratello» riporta il gip nell’ordinanza «si erano alternati nel ruolo di amministratori della “Palamara Scavi Srl” per eludere, assai verosimilmente, l’esecuzione della sentenza civile che li aveva condannati in solido a risarcire i familiari di Antonino Catalano, ucciso a Melito Porto Salvo ad agosto del 2006 dal padre Antonino Palamara, con complessivi 928.350 euro». Tesi sostenuta, secondo l’accusa, anche da una intercettazione. «Io e Pasquale non possiamo aver niente… tutte ste cazzo di cose che sono successe… con l’omicidio del 2007, del 2006… tutto da lì è partito compare Pino… una catena di casini che non finiscono mai…».
Utilizzando uno schema ormai collaudato, dunque, secondo gli inquirenti con la dichiarazione di liquidazione giudiziale della “Borgoagnello Costruzioni s.r.l.”, gli indagati «avrebbero di fatto già reiterato il reato di bancarotta e che, attualmente, gli stessi stanno operando con le stesse modalità ai danni della “Cave di Romagnano Sesia s.r.l.”». Come annota il gip nell’ordinanza, quest’ultima, da quando è materialmente gestita da Pasquale Palamara, «sta accumulando in modo sistematico debiti verso l’Erario e, pur pagando le altre imposte e gli oneri contributivi e previdenziali, non effettua i versamenti IVA per complessivi 280.560,64 euro», con la volontà «degli indagati di delocalizzare quanto più possibile all’estero i capitali di cui stanno spogliando la società».
I finanzieri, infatti, hanno ricostruito una serie di movimentazioni di denaro all’estero attraverso «consistenti flussi finanziari diretti in Svizzera ed in Lituania». Dopo l’accredito 239.999 euro nei confronti della società “Cave di Romagnano Sesia s.r.l.” «il 7 e l’8 febbraio 2022 erano stati effettuati due bonifici verso l’estero per complessivi 60.000 euro nei confronti di una società con sede a Vilnius». Dal 10 al 21 febbraio 2022, prima 48mila euro a favore di una società con sede a Londra, poi altri 90.500 euro a favore di un’altra società questa volta con sede a Riga, in Lettonia. A proposito di Svizzera, invece, gli inquirenti hanno ricostruito il “movimento” di 20mila euro accreditati a favore di una società svizzera che ha come oggetto sociale l’acquisto e la vendita di beni immobili, nonché l’amministrazione, la consulenza, la mediazione la locazione e la detenzione di beni immobili. Per gli inquirenti si tratterebbe «della provvista di denaro necessaria per il versamento del capitale sociale di 20.000 franchi svizzeri della neo-costituita “A2E Group Sagl.”» tanto che la fattura elettronica emessa dalla società dei Palamara risale al 29 ottobre 2021 «data dell’avvenuta costituzione della società». Gli inquirenti sono convinti che la “A2E” altro non sia che l’acronimo che rappresenterebbe, verosimilmente, «le iniziali dei figli di Pasquale Palamara, due dei quali hanno come iniziali del nome la lettera “A” mentre una ha come iniziali la lettera “E”».
Le indagini più recenti, inoltre, hanno permesso ai finanzieri di risalire ad un’altra società la “Psc Holding S.r.l.” il cui capitale sociale sarebbe stato «messo a disposizione a titolo di donazione indiretta» da un soggetto siciliano ma residente a Novara ma a tutti gli effetti un dipendente della “Cave di Romagnano Sesia s.r.l.”. Ma, come riportato sull’atto costitutivo della società, «il versamento del capitale sociale, pari a euro 10.000, era stato effettuato con assegno bancario sul conto corrente intestato alla “Cave di Romagnano Sesia S.r.l.” (…) e l’assegno bancario in questione, in realtà, non era mai stato emesso e pertanto mai negoziato» annotai il gip nell’ordinanza. Fatture elettroniche, assegni e i codici attività sarebbero dunque «riconducibili alle società dei fratelli Palamara» scrive il gip nell’ordinanza. «La sigla “PSC”, inoltre, sarebbe proprio l’acronimo di “Palamara Scavi”», altro escamotage che gli inquirenti sono conviti di aver svelato. (g.curcio@corrierecal.it)
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato
x
x