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IL QUARTIERE DELLA FARINA

Una pizzeria che chiude racconta come cambia Cosenza in una delle sue strade più importanti

Addio a uno dei simboli “pagani” della città: il manichino-cameriere del Ventaglio. Per un quarto di secolo in via Panebianco

Pubblicato il: 05/05/2024 – 9:29
di Eugenio Furia
Una pizzeria che chiude racconta come cambia Cosenza in una delle sue strade più importanti

COSENZA La memoria costa 150 euro. Un tuffo al cuore può venire imbattendosi sui social in quel manichino calvo che salutava i clienti di una pizzeria oggi chiusa – dopo 25 anni di onorato servizio – e, seminascosto tra le auto in sosta, benediceva gli automobilisti che lasciano Cosenza in direzione Rende.

(Avvertenza: questo è un pezzo molto cosentino. Ombelicale ma sentito.)

Via Panebianco nel tratto iniziale, appena dopo piazza Europa

Un cameriere di legno in posa reverenziale, tarchiato, con tratti da elfo e basettoni, giacca rossa su grembiule da pizzaiolo. Un brand tipo Ampelmann a Berlino. Inquietante eppure bonario, avrà turbato il sonno di molti piccoli cosentini oggi cresciuti e magari tornati dopo un quarto di secolo da clienti del Ventaglio, finché il locale è stato aperto. Oggi quel simbolo di strada di una città in veloce evoluzione – sicuramente più iconico della discussa statua di Giacomo Mancini – Renato Rascel davanti a piazza dei Bruzi ma anche di un manichino simile a questo, ai lati di un dehors in piazza XI Settembre – è in vendita con tanto di avvertenza a ripararlo onde evitare ulteriori danni.  

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Il distretto della farina

Finisce un’epoca: il pizzaiolo Nicola Molinaro (nel cognome il destino, come il quasi omonimo e compianto Walter), che iniziò col suocero Mario Falbo nella altrettanto storica pizzeria Volante (Commenda) abbassa la serranda del Ventaglio: il figlio Alessandro andrà a fare il cuoco sulle navi da crociera e dunque la pizzeria a gestione familiare perderà un pezzo importante. Di qui la decisione di chiudere, come spiega Nicola con gli occhi lucidi davanti all’ingresso del locale.
Si pensava a un cambio di gestione (la nuova proprietà magari si sarebbe anche impegnata a medicare il manichino…) invece pare che ora quei locali possano essere inglobati da Mondera, altra insegna mitica dell’arte bianca cosentina che “sfida” – dal lato opposto della sopraelevata – la più popolare “Pagnotta” (qui dal 1998 e da poco spostata e ampliatasi) che offre anche una saletta tavola calda affacciata proprio sull’angolo presidiato da uno degli ultimi fruttivendoli ambulanti della città. Poco prima, un nuovo ingresso (Carotenuto, ultradecennale forno che ha da poco lanciato due punti vendita in centro) conferma via Panebianco come distretto della farina ⎯ d’altra parte il toponimo dice già molto.

Ruderi e grattacieli

Siamo all’inizio di “Panijancu”: stradone fondativo, unico nell’area urbana a superare i 600 numeri civici, un tempo accesso principale anzi unico per i (pochi) mezzi su gomma, la vecchia Nazionale che attraversava Rende e nel tratto ricalca l’attuale Statale 19. Da qui passò papa Wojtyla nella sua visita risalente a ormai quasi quarant’anni fa (ottobre 1984), sfiorando il fontanone di piazza Europa che nella conurbazione di questa vecchia zona di alberi di fico e campi di cavolo sostituì una depressione paludosa e stagnante solcata dal Muoio, torrente mefitico già dal nome.
E oggi? La città bifronte mette davanti agli occhi del viandante i ruderi a due piani ridotti a discarica rifugio per i marginali proprio ai piedi dei moderni palazzoni da duemila euro al metro quadro; le case popolari sovrastate anch’esse dai nuovi edifici (nel tratto centrale di via Panebianco, nell’arco di pochi metri, uno è stato consegnato da poco e un altro è in costruzione mentre poco oltre la Città dei ragazzi svetta l’unico grattacielo di Cosenza); i bazar cinesi e i discount proletari; i tanti kebab a insidiare la rosticceria-tavola calda forse più amata e di certo più longeva di Cosenza (la mitologica Comalpi). È la strada dei posti di blocco (durante il Covid rastrellamenti col mitra), dei venditori di anguria o alberi di Natale a seconda della stagione, dell’Holiday Inn (oggi Italiana Hotels) nelle cui vicinanze si consumò l’ultimo omicidio di mafia in centro; della sezione Pci intitolata a Giuseppe Di Vittorio proprio nel punto in cui oggi si abbracciano con empatia fascio-comunista da Prima Repubblica le traverse Benito Falvo/Ciccio Martorelli.
Una pizzeria che chiude è un fatto privatissimo eppure pubblico: il Ventaglio ci manca già, proprio come quello strano manichino che sorreggeva i cartoni delle pizze.

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