COSENZA Prima della fiammata della pinsa e della moda della “napoletana”, per almeno tre decenni Walter a Cosenza ha significato semplicemente “pizza”, e quasi in solitaria.
Nomen Omen (se ti chiami Molino la farina non può che essere l’artefice del tuo successo oltre che la ragione di vita), Walter – per i clienti il cognome non serviva – era l’incarnazione della mitologia del disco di pasta lanciato in aria a fare evoluzioni impensabili – fino agli anni ottanta Sorrentino e Luna Rossa erano le insegne egemoni – e ha rappresentato la più classica delle imprese a conduzione familiare, partita in piccolo e poi cresciuta.
Dalla prima saletta, quasi quarant’anni fa, su viale della Repubblica dove troneggiava una gigantografia di Marilyn Monroe accosciata a fargli da fonte di ispirazione, accompagnato dal padre Umberto (alla cassa) e da uno dei fratelli dietro il banco, ha nutrito generazioni di cosentini formandone altrettante nell’arte bianca: il magazzino senza neanche un tavolo (si mangiava in piedi, su due file di mensole coi più piccoli messi su una sedia per riuscire ad addentare la pizza) in due decenni è diventato un salone doppio e perennemente pieno. Figure dell’immaginario antropologico si sono alternate nel servizio in sala oltre che nell’affiancamento al maestro; nel frattempo una seconda sede, quando Walter si era già brandizzato tanto da dover aggiungere solo un 2 nell’ insegna, alle porte di Rende, ha ampliato platea e successo, restando uguale a se stesso nella divulgazione del verbo della scrocchiarella cosentina contro l’invadenza alquanto provinciale degli impasti trendy e delle farciture gourmet.
Poco più che sessantenne, Walter Molino se n’è andato a cavallo dei due anni, lasciando la moglie e due figli: la pizza della domenica sera di ritorno dai primi bagni dell’anno sul Tirreno non sarà più la stessa. (euf)
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato
x
x