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“rinascita-scott”

La condotta politica di Giamborino «allarmante e torbida» ma per i giudici le prove sono insufficienti

Le motivazioni della sentenza. «Fa parte verosimilmente della “zona grigia”». Il ruolo si «intuisce» ma non è ricostruito «con precisione»

Pubblicato il: 20/05/2024 – 14:33
di Fabio Benincasa
La condotta politica di Giamborino «allarmante e torbida» ma per i giudici le prove sono insufficienti

VIBO VALENTIA «L’assoluzione dell’ex consigliere regionale Pietro Giamborino dalla grave accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso ripercorre ciò che la suprema Corte di Cassazione aveva già stabilito anni or sono in sede cautelare. Inutili angosce processuali, fanno venire in mente il motto di Carnelutti: il processo è già una pena». Questo il commento a freddo dell’avvocato Vincenzo Belvedere, legale di fiducia Pietro Giamborino, pochi istanti dopo la lettura del dispositivo di sentenza del processo di primo grado scaturito dall’inchiesta “Rinascita-Scott. Era il 20 novembre 2023, a distanza di sei mesi sono state depositate le motivazioni. Per l’ex consigliere regionale, era stata invocata una condanna a 20 anni. I giudici hanno deciso di comminare una pena pari ad 1 anno e 6 mesi di reclusione. 

Le accuse

L’accusa riteneva Giamborino «partecipe della locale di Piscopio». Una posizione, quella del politico, ricostruita dal teste Gianluca Lagumina (sentito all’udienza del 30 gennaio 2023) e dalla cui deposizione è emerso che «l’attenzione investigativa sorgeva nei primi mesi del 2018, quando lo stesso veniva monitorato attraverso intercettazioni telefoniche ed ambientali, a seguito delle dichiarazioni rese sul suo conto da alcuni collaboratori di giustizia che lo indicavano come appartenente alla vecchia ‘ndrangheta di Piscopio».
Tra i pentiti che citano Giamborino, anche Raffaele Moscato, appartenente al nuovo Locale di Piscopio. Anche Andrea Mantella ha avuto di riferire in merito alla figura di Giamborino asserendo che lo stesso fosse «stato battezzato nel vecchio locale e questo lo aveva saputo da Pino Galati e dai Lo Bianco (…) intorno agli anni 2009-2010, diversi gruppi criminali sì mobilitavano per assicurargli sostegno elettorale e, in cambio, si metteva a disposizione della delle consorterie che lo avevano appoggiato». Sui presunti rapporti del politico con la mala vibonese, la Dda segnala «i rapporti con Saverio Razionale». Ma quel dialogo registrato tra i due «non è stato rinvenuto dal Collegio né nell’hard disk depositato e né nei cd contenenti tutti i file audio depositati a luglio 2023». Agli atti dell’inchiesta anche alcuni controlli sul territorio tra Giamborino ed esponenti di spicco della criminalità vibonese. «Lo stesso viene fermato il 28 maggio 1990 nella stessa autovettura insieme a Pantaleone Mancuso alias Vetrinetta». Forte è – per la procura antimafia – «il legame che Pietro Giamborino aveva anche con il cugino Salvatore Giuseppe Galati detto “Il Ragioniere”, condannato, con sentenza irrevocabile, nell’ambito del processo “Crimine”».

Il parere dei giudici

Sin qui, l’identikit sintetico relativo alla figura di Pietro Giamborino cristallizzata dall’accusa. Un uomo indicato come vicino ai clan, facente parte di quella zona grigia ritenuta collante tra la galassia criminale e la società civile. Tuttavia, per i giudici «persiste un’area di equivocità quanto al ruolo di Pietro Giamborino (…), la valutazione rigorosa degli elementi indicati non consente di raggiungere» nei suoi confronti «in relazione al delitto partecipazione in associazione mafiosa o di concorso esterno, la soglia probatoria necessaria ai fini di una pronuncia di condanna, dovendo pervenirsi, pertanto, nei suoi confronti ad una sentenza assolutoria». Dal materiale probatorio esposto emerge, a parere dei giudici «senza dubbio una condotta torbida da parte dell’imputato che ha mostrato di acconsentire e, anzi, di ricercare contatti e rapporti con esponenti delle criminalità organizzata, sebbene adottasse numerose e elaborate cautele per nascondere questi legami che avrebbero messo a repentaglio l’immagine di uomo delle istituzioni integerrimo che si era impegnato a costruire». Ancora, si legge nelle motivazioni, «Giamborino fa parte verosimilmente di quella “zona grigia”, in cui i clan strizzano l’occhio alla politica e ne pretendono ì favori dopo averla assecondata; nondimeno il patto che lo stesso avrebbe stretto con la consorteria criminale e gli impegni assunti dal politico a favore dell’associazione mafiosa – che per la giurisprudenza devono presentare il carattere della serietà e della concretezza per rafforzare il sodalizio – nel caso di specie si intuiscono, ma non si riescono a ricostruire con la dovuta precisione».
Sempre secondo i giudici, sebbene siano state acquisite dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia circa il rapporto tra Giamborino ed il vecchio locale di Piscopio, ormai estinto, è vero altresì che dallo stesso «prendeva le distanze negli anni ’90 (quando iniziava la sua carriera politica)». E dunque, «l’adesione dell’imputato al nuovo locale fondato nel 2009, sul quale si concentra il capo di imputazione» non pare suffragata da sufficienti prove.

Le competizioni elettorali

I dubbi del Collegio giudicante sorgono in ordine all’individuazione della competizione elettorale nel corso della quale Giamborino si sarebbe assicurato il sostegno del “locale di Piscopio”, che avrebbe dirottato su di lui il “pacchetto” di voti degli elettori di cui aveva il controllo. Non si comprende se le competizioni elettorali alle quali si riferiscono i pentiti siano quelle del 2002, del 2005 o del 2010.
«La mancanza di precisione e di riscontri in ordine alla competizione elettorale cui ancorare la nascita del patto elettorale-politico mafioso e l’adempimento delle specifiche obbligazioni da esso derivanti, non consente di individuare il periodo storico delle condotte del politico e la controprestazione posta in essere dallo stesso per favorire l’associazione mafiosa». Infine, i giudici annotano: Giamborino «che mostra grande intimità e vicinanza con esponenti della criminalità organizzata, che esalta l’antica società di ‘ndrangheta, che si adopera per agevolare la carriera universitaria dei figli di Luigi Mancuso e di Saverio Razionale, che discute di appalti e di “impegni” presi con uno degli elementi di vertice della cosca di Piscopio – appaiono a dir poco allarmanti e moralmente discutibili per un politico di lungo corso, la prova all’esito dell’istruttoria dibattimentale appare insufficiente, non avendo consentito di individuare lo specifico e consapevole contributo causale che il Giamborino avrebbe fornito alla consorteria». (f.b.)

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