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Per Domenico Chilà «la corruzione come lasciapassare»: l’imprenditore reggino «riferimento dei clan» nel settore delle pulizie

Al 61enne, indagato nell’inchiesta “Inter Nos” nel 2019, sequestrati beni per 6,5 milioni di euro. «Diamogli da mangiare che è pure giusto»

Pubblicato il: 06/06/2024 – 18:48
Per Domenico Chilà «la corruzione come lasciapassare»: l’imprenditore reggino «riferimento dei clan» nel settore delle pulizie

REGGIO CALABRIA Considerato «espressione» della «cosca “Serraino” (in storici rapporti di stringente sinergia operativa con la ‘ndrina alleata dei Rosmini) e in prevalenza operante nei quartieri Cardeto, Arangea, San Sperato, Modena del Comune di Reggio Calabria e nelle aree aspromontane della provincia reggina», Domenico Chilà, secondo la Dda di Reggio Calabria aveva assunto il ruolo di «imprenditore di riferimento del sodalizio mafioso nel settore dei servizi di pulizia e sanificazione, stringendo uno stabile e permanente accordo con gli esponenti di vertice della ‘ndrangheta reggina e assicurando agli stessi la possibilità di ricevere quote dei proventi degli appalti pubblici di volta in volta acquisiti e di infiltrarsi con mezzi, risorse finanziarie e personale di riferimento nelle aziende coinvolte nei pubblici servizi aggiudicati». Queste le accuse contro l’imprenditore reggino, coinvolto nell’inchiesta “Inter Nos” che il 2 agosto 2021 portò all’esecuzione di 17 misure cautelari, e destinatario di un provvedimento emesso dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale ed eseguito dai finanzieri del Comando provinciale di Reggio Calabria e dello Scico, coordinati dalla Dda diretta da Giovanni Bombardieri.
Quattro immobili, un’auto, l’intero compendio aziendale di due imprese, quote di partecipazione in una società di capitali, rapporti bancari, finanziari, assicurativi e relative disponibilità: un “tesoretto” da 6,5 milioni di euro su cui i finanzieri hanno messo i sigilli tra Calabria e Lombardia. Frutto, secondo gli investigatori, delle attività illecite che il 61enne era riuscito a portare avanti.

L’inchiesta

L’inchiesta “Intern Nos” nel 2019 permise di far luce su un quadro – scrisse il gip – «straordinariamente allarmante» e al contempo desolante di «endemica corruzione ed illecita gestione delle risorse destinate alla sanità pubblica» nel comprensorio della provincia di Reggio Calabria, nonché sulla «capacità di condizionamento e di pervasiva infiltrazione da parte della criminalità organizzata locale in ambito sanitario, in uno a plurime, sistematiche, gravissime condotte delittuose poste in essere nell’esercizio delle pubbliche funzioni, accertate in corrispondenza con l’affidamento, la gestione e la liquidazione dei servizi di pulizia e sanificazione, appaltati dall’Asp di Reggio Calabria». «Evidenti e macroscopiche illegalità sono rinvenibili nell’espletamento dei pubblici incanti nel settore sanitario, scrive il gip che definisce le procedure di aggiudicazione delle gare «deviate nell’interesse di una cordata di imprenditori privati, espressione di un coacervo di interessi riconducibile a più consorterie ‘ndranghetistiche operanti nel reggino».

Le accuse

Chilà è accusato dalla Dda di Reggio Calabria di aver commesso «una serie indeterminata di delitti, tra i quali numerosi posti in essere contro la persona, il patrimonio (in particolare estorsioni), la pubblica amministrazione, l’amministrazione della giustizia; acquisito «direttamente o per interposta persona fisica o giuridica la gestione o, comunque, il controllo di attività economiche (finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti), di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici»; realizzato «profitti o vantaggi ingiusti per i sodali, per i concorrenti esterni, per i contigui o per altri, anche attraverso la partecipazione diretta alle attività economiche di interesse e la riscossione di ingenti somme di denaro a titolo di tangente»; impedito od ostacolato «il libero esercizio del voto o procurare voti agli associati, ai concorrenti esterni, ai contigui o ad altri in occasione di consultazioni elettorali». In particolare, secondo l’accusa, sarebbe emerso un rodato sistema corruttivo che avrebbe consentito all’impresa di Chilà di svolgere indisturbata il servizio di pulizie negli ospedali reggini, con il supporto della ‘ndrangheta. Il 61enne, insieme ad altri imprenditori, avrebbe realizzato un sistema criminoso ben organizzato andato avanti per anni e, grazie a condotte corruttive con funzionari della pubblica amministrazione – pure coinvolti nell’indagine – e turbative d’asta, sarebbe riuscito ad accaparrarsi, per oltre un ventennio, l’appalto dei servizi di pulizie e sanificazione nelle sanitarie rientranti nella competenza dell’Asp di Reggio Calabria. A tal fine, sarebbe stata costituita una cassa comune nella quale ciascun imprenditore avrebbe versato, in rapporto alla propria forza economica, il proprio contributo destinato a corrompere i pubblici funzionari e pagare le famiglie di ‘ndrangheta.

«La corruzione come lasciapassare»

«Metti 2 mila tu, metti 2 mila lui, metto 2 mila io…Può darsi che io ho la forza o sono magnanimo… Non che voglio farvi uno sgarbo – va bene per me mettici pure 3 mila – allora si raggiunge una quota di 8 mila, 10 mila euro al mese. Bene. “diamogli da mangiare che è pure giusto».
Questo il tenore delle conversazioni captate dagli investigatori e in cui Chilà descriveva «un sistema corruttivo dilagante e generalizzato. L’imprenditore ribadiva ai suoi interlocutori che «il versamento delle prebende era la condicio sine qua non per qualunque affidamento in loro favore, senza la quale sarebbe stata di certo preferita altra ditta». («No vabbè la sanificazione si deve fare” “eh!.. E chi lo dice che la devi fare tu? possono chiamare ad un’altra ditta».
«La corruzione – si legge nell’ordinanza – viene elevata a lasciapassare, diventa titolo preferenziale per selezionare gli interlocutori e i prestatori di servizi dell’amministrazione». Venivano quindi esplicitati con chiarezza i termini dell’accordo corruttivo, «diretto a turbare la gara, secondo il classico schema “do ut des”: a fronte dei due milioni di euro, che gli imprenditori avevano ottenuto accaparrandosi la gara, coloro che avevano reso possibile tale risultato, i funzionari pubblici, pretendevano di “mangiare”». «Due milioni di euro a noi ci hanno dato (…) ce la stanno lasciando tutti i giorni… però questi vogliono mangiare...glieli devo dare solo io?». (m.r.)

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