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Sanità, malattia di Crohn: scoperta la principale causa genetica

In Italia si stima che circa 240-250 mila persone soffrano di malattie infiammatorie croniche dell’intestino

Pubblicato il: 08/06/2024 – 12:46
Sanità, malattia di Crohn: scoperta la principale causa genetica

Quasi tutte le persone con una malattia infiammatoria dell’intestino, circa il 95%, presentano una stessa caratteristica genetica che sembra essere la cabina di regia dell’infiammazione. A dirlo sono i ricercatori inglesi del Francis Crick Institute, dello University College e dell’Imperial College London che l’hanno identificata, e secondo i quali sarebbe la causa principale di queste patologie. Le malattie infiammatorie croniche dell’intestino (Mici o Ibd, dall’inglese Inflammatory bowel disease) sono patologie autoimmuni che comprendono la malattia di Crohn e la colite ulcerosa: sono abbastanza diffuse e la loro incidenza è in aumento. In Italia si stima che ne soffrano circa 240-250 mila persone (60% con colite ulcerosa e 40% con malattia di Crohn). L’età di insorgenza è bassa: insorgono di solito quando si bambini, adolescenti o giovani adulti.I sintomi più frequenti sono diarrea, mal di stomaco o crampi, sangue nelle feci, spossatezza, perdita di peso spontanea. Sebbene alcuni sintomi possano essere simili, non vanno confuse con la sindrome dell’intestino irritabile (IBS).

Che le Mici abbiano una componente genetica non è una novità. È infatti ben nota la familiarità, in particolare per la malattia di Crohn. Non sono malattie ereditarie né genetiche, ma esiste una predisposizione condivisa tra consanguinei: ad esempio i fratelli di chi ha una Mici hanno una probabilità maggiore di svilupparla a loro volta. Attualmente si pensa che sia l’interazione tra fattori genetici e ambientali a scatenare l’infiammazione. Il nuovo studio, pubblicato su Nature, aggiunge un tassello che potrebbe rivelarsi fondamentale per la comprensione degli aspetti genetici e, anche per aprire nuovi scenari per il trattamento. Che le Mici abbiano una componente genetica non è una novità. È infatti ben nota la familiarità, in particolare per la malattia di Crohn. Non sono malattie ereditarie né genetiche, ma esiste una predisposizione condivisa tra consanguinei: ad esempio i fratelli di chi ha una Mici hanno una probabilità maggiore di svilupparla a loro volta. Attualmente si pensa che sia l’interazione tra fattori genetici e ambientali a scatenare l’infiammazione. Il nuovo studio, pubblicato su Nature, aggiunge un tassello che potrebbe rivelarsi fondamentale per la comprensione degli aspetti genetici e, anche per aprire nuovi scenari per il trattamento.

Per arrivare a queste conclusioni, gli scienziati hanno setacciato un’area del Dna “silente”, cioè che non codifica per proteine, ma che era stata già in precedenza correlata alle Mici e ad altre malattie autoimmuni. Quello che hanno trovato è un pezzettino del genoma che funziona da “potenziatore” (enhancer) di altri geni. Hanno anche scoperto che questo particolare potenziatore è attivo solo nei macrofagi – un tipo di cellula immunitaria che ha un ruolo importante nelle malattie infiammatorie intestinali -, dove potenzia il gene ETS2. E ancora: che se il gene ETS2 è più attivo, vi è un rischio maggiore di malattie infiammatorie croniche dell’intestino. Attraverso l’editing genetico, gli autori dello studio hanno infatti dimostrato che ETS2 è essenziale per quasi tutte le funzioni infiammatorie dei macrofagi (che producono citochine pro-infiammatorie), tra cui quelle che creano danni all’intestino tipici delle Mici. Nei test in laboratorio, il semplice aumento della quantità di ETS2 nei macrofagi “dormienti” li ha attivati, trasformandoli in quelle cellule infiammatorie che si ritrovano nei pazienti con Mici.

James Lee del Francis Crick Institute (a capo dello studio) e colleghi sono andati oltre: hanno cercato di comprendere se esistessero già terapie in grado di agire sul gene ETS2 e sulla nuova via molecolare scoperta: non esistono farmaci specifici che bloccano ETS2, spiegano, ma alcuni già in commercio potrebbero ridurne indirettamente l’attività: gli inibitori di MEK (un’altra proteina). Questi farmaci mirati sono oggi impiegati in ambito oncologico, per esempio contro il melanoma. Gli esperimenti condotti in vitro sono stati positivi: gli inibitori di MEK testati hanno ridotto l’attivazione dei macrofagi e l’infiammazione nei campioni intestinali di pazienti. Uno dei problemi sono, ovviamente, gli effetti collaterali, e i ricercatori stanno ora collaborando con un ente di beneficenza autofinanziato per la ricerca medica, LifeArc, per trovare il modo di somministrare i farmaci in modo mirato. (Fonte: La Repubblica)

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