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Roberto Presta, i presunti «favori» del giudice Petrini e la dote di ‘ndrangheta. «Ero un Padrino»

Il pentito si sottopone al controesame nel processo “Reset”. A fine udienza lo scontro tra l’avvocato Locco e la presidente del Collegio giudicante

Pubblicato il: 25/07/2024 – 15:42
di Fabio Benincasa
Roberto Presta, i presunti «favori» del giudice Petrini e la dote di ‘ndrangheta. «Ero un Padrino»

COSENZA Il giorno del controesame di Roberto Presta. Il pentito della Valle dell’Esaro torna in videocollegamento in aula bunker a Lamezia Terme per sottoporsi alle domande degli avvocati del Collegio difensivo dopo il lungo esame, sostenuto nel corso della precedente udienza dal pm Corrado Cubellotti della Dda di Catanzaro, nell’ambito del processo “Reset” contro la ‘ndrangheta cosentina.

Le dichiarazioni di Presta

Il collaboratore di giustizia, ha parlato di tutto: dalla esistenza della bacinella comune alle dinamiche criminali dei vari clan, dai presunti giudici corrotti alle tangenti pagate per sistemare alcuni processi.
Il pentito è nipote del boss ergastolano Franco Presta e fratello di Antonio Presta, considerato a capo dell’omonimo gruppo di narcotrafficanti egemone nella Valle dell’Esaro. L’attenzione del collaboratore di giustizia si concentra sui presunti «favori» del giudice Marco Petrini, già presidente della Corte di assise di Catanzaro in relazione ad una vicenda giudiziaria che lo vedeva coinvolto. Da quanto narrato, tramite un avvocato (rimasto anonimo), Presta avrebbe ottenuto libertà di movimento mentre si trovava ai domiciliari “consegnando” al giudice 2.000 euro.

Il controesame

L’avvocato Enzo Belvedere inizia il controesame. Si parla di affiliazioni alcuni soggetti, tra i quali Armando Antonucci.
Prende la parola l’avvocato Lucio Esbardo. Ha riferito di aver fatto rinvenire delle armi all’interno di una proprietà nella periferia di Roggiano. «Mio fratello ed io utilizzavamo la proprietà». Lei è stato arrestato per droga? «Si per possesso di cocaina, sono stato condannato e liberato per il medesimo reato». Ad agosto 2012 le viene notificata una misura cautelare nell’inchiesta “Santa Tecla”. «Sono stato condannato a 5 anni di reclusione». In relazione all’inchiesta Valle dell’Esaro, viene arrestato a maggio perché trovato in possesso di un chilogrammo di droga nel 2008, fece l’abbreviato e riconobbe la sua responsabilità? «Si, la droga veniva da Milano e non dalle mie parti. La mandava mio fratello. E’ stata fatta una perquisizione a Milano ed hanno rinvenuto delle bombole di gas tagliate con all’interno residui di droga, stessi residui rinvenuti anche nella vasca da bagno». Ricorda di essere stato autorizzato a partecipare al processo in sede della Corte di Cassazione che annullò per il possesso di droga? Ricorda che il presidente di quella Corte era il giudice Petrini e le mandò i carabinieri per vedere se fosse a casa o no? «Non ricordo». Lei ha riferito di aver avuto un elevato grado nella ‘ndrangheta, in qualità di Padrino? «Si, è cosi». Nei verbali ricorda quale grado riferì alla procura? «Si, la terza dote». I gradi successivi quando le sono stati conferiti? «Ho lasciato a Cosenza e sono partito a Catanzaro. E’ stato fatto un rito di ‘ndrangheta da Francesco Patitucci e Michele di Puppo e dopo mi avevano promesso che mi avrebbero dato qualcosa in più». Un conferimento formale, oltre la terza dote, non c’è mai stato? «Si, ho parlato con altre persone e queste persone mi hanno dato i gradi in più». L’avvocato Esbardo contesta la dichiarazione resa del pentito che in un verbale aveva parlato di un conferimento ricevuto sulla “parola”. Quando è stato affiliato la prima volta? «Avevo 15-16 anni». Suo padre, quando le concesse l’affiliazione, a quale famiglia ‘ndranghetistica apparteneva? «Non ricordo». Suo fratello invece a quale famiglia apparteneva? «Faceva riferimento a Franco Pino». Parla di un interessamento sul campo sportivo di Roggiano Gravina, qual è l’interesse della sua organizzazione sulla struttura? «All’inizio si trattava di una tangente, poi mio fratello mi disse che lui e il figlio dovessero prendere le redini sulla squadra di Roggiano e sul campo sportivo». Sa se ci fu un appalto? «Non mi ricordo». Mentre si trovava ai domiciliari dopo la misura cautelare scaturita dall’operazione Santa Tecla era stato autorizzato al lavoro? «Si, lavoravo in una azienda di Roggiano Gravina dalle ore sei alle ore nove, facevo lo spazzino».
L’avvocato Fiorella Bozzarello per la posizione di Rosina Arno. Conosce Arno Rosina? «No». Conosce Salvatore Ariello? «Si, l’ho conosciuto nel 2008 in carcere e l’ho rivisto sempre in carcere a Cosenza nell’estate del 2020». Sebbene fosse “Padrino”, come mai suo fratello non la faceva mai partecipare alle riunioni di ‘ndrangheta? «Quando hanno fatto le riunioni non c’ero. Quando eravamo latitanti invece non potevamo andare in troppi ai summit». A quante riunioni ha preso parte? «Non ho partecipato». Per arrivare alla dote di Padrino ha mai commesso omicidi? «No, mi ritenevano degno di questa dote». Chi c’era nella sua copiata quando ottenne la dote di Padrino? «Rocco Paviglianiti, Mico Megna, Rocco Barbaro». Quando ha ricevuto la terza dote a Cosenza chi c’era in copiata? «Favorevole Mario Gatto, come “contrasto” Francesco Patitucci, come “puntaiolo” Gianfranco Bruni e poi c’erano Michele Di Puppo, Gianfranco Ruà. In carcere c’erano Mario Gatto, Francesco Patitucci, Salvatore Ariello e un altro soggetto che non ricordo».
Il controesame continua, prende la parola l’avvocata Laura Gaetano. Nel 2013 quando si trovava in carcere a Catanzaro le è capitato di sentire Francesco Patitucci parlare dalla finestra con la moglie? «Si, parlava da una finestra che dava sulla strada dal padiglione destro, al primo piano. La mia cella era vicina a quella di Patitucci e lo sentivo». Conosce Patitucci? «Nel 2016-2017 quando andavamo da Patitucci e lui non c’era lo chiamava la moglie e lui veniva. Lo conosco bene». Come mai queste vicende non le ha mai riferite nei verbali? «Le ho dichiarate».
L’avvocato Luca Acciardi chiede conto al collaboratore di giustizia del primo verbale reso da quando ha scelto di raccontare tutto ai magistrati antimafia. Lo rende nel dicembre del 2020? «Si». Prima ha effettuato colloqui investigativi? «No, ho chiesto di collaborare». Lei ha parlato di bacinella comune? «Si, dal 2007 al 2008 l’ha tenuta Gianfranco Bruni, poi 2009-2011 Francesco Patitucci dopo lo hanno arrestato e l’ha presa Mario Piromallo. Il 13 dicembre 2013 fino al 2014 l’ha tenuta Mario Gatto poi arrestato. Dopo l’ha ripresa di nuovo Patitucci nel 2014». Fino al suo arresto chi l’ha detenuta la bacinella? «Non ricordo». Sa se ci sono stati contrasti tra “Italiani” e “Zingari” che hanno portato alla scissione? «Non so». Lei ha conosciuto Daniele Lamanna? «Nel 2012, il 6 agosto mi hanno portato a Cosenza al secondo piano e c’era Patitucci. Prima di uscire Daniele Lamanna ha salutato Patitucci e quest’ultimo gli ha detto “ricordati che Luca Bruni deve morire”. Ha reso dichiarazioni su mandanti ed esecutori dell’omicidio Bruni? «Il mandante è Patitucci, gli esecutori non li ricordo». Il grado di Padrino ha benefici economici e trattamentali? «Si, guadagno più di uno “sgarrista”». Durante le carcerazioni, la sua famiglia riceveva il sostentamento? «Davano soldi a mio fratello e lui li dava i soldi a mia moglie». Nel suo territorio ci sono stati omicidi? «Si». Ha preso parte a questi delitti? «Non ho partecipato, ma so che c’è stato l’omicidio Chimenti». C’è stata anche la strage di San Lorenzo del Vallo? «Si». Conosce imputati di questo processo condannati ingiustamente per reati? «Non lo so».

Le domande del Collegio giudicante e del pm

Ci sono altre domande per il collaboratore di giustizia. La presidente del Collegio giudicante Carmen Ciarcia chiede lumi sulle presunte dazioni a favore di Franco Presta. Provvedevate solo voi di Roggiano o c’era anche l’intervento di altri? «C’è stato l’intervento di Francesco Patitucci ed Ettore Lanzino, davano i soldi tramite Salvatore Ariello e Mario Piromallo per contribuire alle spese di Franco Presta». Lo facevano sempre? «Lo hanno fatto parecchie volte». Lei ha parlato di una serie di soggetti, cosa facevano nell’organizzazione? «Mario Sollazzo vendeva droga che prendeva da me, da mio fratello o da mio nipote. La cedeva e poi portava i soldi a mio fratello e prendeva altra sostanza stupefacente. Aveva un margine di guadagno sulla vendita e veniva stipendiato, prendeva 1.000 euro. Poi c’erano Mauro Marsico, Cristian Ferraro, Armando Antonucci e Fabio Giannelli che vendeva droga».
Il pm Corrado Cubellotti chiede conto di una riunione – citata dal pentito – avvenuta nel 2011 a casa di Erminio Pezzi. Si sarebbe discusso della nuova organizzazione del clan vista l’assenza di Franco Presta. In buona sostanza si sarebbe discusso del passaggio di consegne tra lo storico boss e Antonio Presta. Quando ha conosciuto Pezzi? «L’ho visto quando siamo andati a trovare Franco Presta e prima nel 2008». Perché si riunivano a casa di Pezzi? «Viveva in un posto isolato e curava la latitanza di Franco Presta». Lei a quale gruppo è stato affiliato? «Nel 2012 quando mi è stata data la terza dote sono stato affiliato al gruppo Ruà-Lanzino-Patitucci». Il pubblico ministero sollecita il pentito sui rapporti tra Roberto Porcaro e Luigi Abbruzzese. «Porcaro aveva più confidenza con gli Abbruzzese e faceva da tramite tra gli “Italiani” e gli “Zingari”. Riforniva di droga la famiglia Abbruzzese, e poi i soldi li dava a Francesco Patitucci e se non c’era li dava a Mario Piromallo». Il racconto del pentito prosegue. «Quando c’è stata l’estorsione alla piattaforma dei voli, siamo andati a prendere i soldi: 3.000 euro li abbiamo portati a Patitucci, altri 3.000 a Damiano Pepe che poi avrebbe dato una parte del denaro al figlio di “Dentuzzo”». Il riferimento è a Luigi Abbruzzese, figlio di Franco Abbruzzese.

Finale infuocato e udienza sospesa

Prima della chiusura dell’udienza, si consuma uno scontro tra l’avvocato Franco Locco e la presidente del Collegio giudicante Carmen Ciarcia. Il legale contesta il «metodo» utilizzato nella conduzione del procedimento e chiede e ottiene di poter porre delle domande al teste. Tuttavia le domande, quando il pm conclude il riesame possono riferirsi solo alle specificazioni chieste dal Collegio. L’avvocato contesta quanto riferito e provoca la reazione della giudice: «sta sfiorando l’oltraggio», sottolinea la presidente Ciarcia, che poi chiede al legale di moderare i toni. Tutto accade prima della decisione di sospendere l’udienza per qualche minuto. Al rientro, la presidente Ciarcia dispone la trasmissione degli ultimi minuti del verbale al Consiglio di disciplina degli avvocati per le determinazioni di competenza.
(f.benincasa@corrierecal.it)

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