COSENZA C’è un padre disperato che offre ad un pusher assetato di denaro un caffè in cambio della morte del figlio, schiavo della droga. C’è una madre, decisa a garantire la dose necessaria al proprio figlio, costretto ai domiciliari. Ci sono famiglie distrutte dopo aver perso i propri cari, vittime dei venditori di morte. Le indagini condotte dalle forze dell’ordine, negli ultimi anni, a Cosenza e nell’hinterland bruzio sono riempite dal doloroso e straziante disagi di interi nuclei familiari protagonisti, diretti e non, di storie di droga.
Nel marzo del 2023, a seguito dell’inchiesta denominata “Pressing“, avevamo raccontato la storia toccante di un padre stremato dai colpi di testa di un figlio dipendente dalla droga. Squilla il telefono di casa e alza la cornetta. Dall’altra parte del telefono, un pusher chiede di saldare il debito contratto dal figlio. La risposta dell’uomo è dura come un pugno nello stomaco. «Senti, me lo vuoi fare un piacere? Se me lo spari ti pago un caffè». Il pusher resta sorpreso e abbozza una timida risposta. «Tuo figlio è buono, deve smettere di frequentare gente di merda». Il padre dell’assuntore insiste. «Per me è morto, io preferisco che mio figlio muoia, te lo giuro. È un drogato perso, è un delinquente». Il pusher capisce che non c’è nulla che possa fare e torna alla richiesta di denaro senza però trovare conforto nelle parole del padre disperato. «Ho solo 5 euro per comprare il pane, mio figlio mi ha rubato tutto… lo sai che se muore non ho i soldi per il funerale?».
Da un padre disperato ad una madre complice del figlio assuntore. L’episodio è contenuto nel faldone di indagine denominata “Lockdown“, coordinata dalla procura di Cosenza ed eseguita dai carabinieri. Da quanto emerso, la donna avrebbe «provveduto ad acquistare» sia eroina che cocaina, poi consegnata quotidianamente al figlio ristretto ai domiciliari. Una condotta definita «spregiudicata», con la donna impegnata «senza alcuna remora» e «a qualsiasi ora del giorno e della notte» ad acquistare lo stupefacente e trattare con i pusher. La circostanza è tutta da verificare, le accuse mosse nei confronti della donna dovranno essere riscontrate e saranno oggetto di giudizio, ma a prescindere dall’esito della vicenda giudiziaria, quanto emerso offre un ulteriore spunto di riflessione sul tema.
A preoccupare sono soprattutto i più giovani, del tutto ignari degli effetti devastanti legati al consumo ed all’abuso di sostanze stupefacenti. A dimostrarlo sono alcune intercettazioni captate dagli investigatori cosentini, conversazioni che lasciano sgomenti. Nelle recente inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro, denominata “Recovery“, emerge uno spaccato drammatico sul consumo e abuso di stupefacenti nella città dei bruzi. «Questa cosa qua… è quello che piace alla gente…sono abituati, sembri un leone, sembri un leone…» ed ancora «ti fai un grammo e devi andare in ospedale per questa cosa». C’è chi invece pare edotto sul tipo di sostanza assunta. «La prendono, e che fanno, per farla stare pressata. La bagnano. Ci buttano qualche cosa dentro, tipo metadone o altro. Ammoniaca ci buttano». Il divertimento, per alcuni, si associa all’esagerazione, l’eccitazione si raggiunge con i cicchetti e con il fumo. Eloquente, in tal senso, un colloquio tra due giovanissimi protagonisti della movida bruzia. «Ieri sera forse non hai capito come ero fatto», confessa un ragazzo e dall’altra parte del telefono una ragazza risponde: «tu, ed io che non riuscivo nemmeno a guidare». Storie di sballi ravvicinati.
(f.benincasa@corrierecal.it)
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