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Il narcotraffico tra Calabria e Roma: gli affari via chat e il criptofonino “d’oro”. «Servono 5mila euro al mese»

Secondo la Dda di Roma il terminale a disposizione dei capi del gruppo conteneva «tanti contatti», fondamentali per l’attività di spaccio di cocaina

Pubblicato il: 12/08/2024 – 7:03
di Giorgio Curcio
Il narcotraffico tra Calabria e Roma: gli affari via chat e il criptofonino “d’oro”. «Servono 5mila euro al mese»

LAMEZIA TERME “Escobar”, “Balenciaga” oppure “Malammore” e “Urus”. Non sono personaggi tratti da una serie TV, ma nickname utilizzati da presunti trafficanti di droga, tra cui soprattutto cocaina. Nomi individuati dagli inquirenti della Distrettuale antimafia di Roma nell’ultima inchiesta “Pit Stop” che ha svelato le rotte del narcotraffico dalla Calabria a Roma e, in alcuni casi, anche a Milano. La lista dei nickname scoperti nella fase investigativa include anche qualche caso particolare, frutto della fantasia dell’utilizzatore. Come ad esempio “Inter, Roma, Eminem” oppure “MQ”. E poi c’è un “Carlitos” utilizzato proprio da un soggetto calabrese che gli inquirenti non sono riusciti ad identificare.

Le chat “criptate”

I nickname appartengono ad una fitta rete di utilizzatori di quelli che vengono definiti “criptofonini”, apparecchi particolari (e costosi) che un periodo di tempo hanno consentito ai trafficanti di droga (ma non solo) di restare in una zona d’ombra, al riparo dalle intercettazioni degli inquirenti, restando impuniti per un lungo periodo di tempo. Per gli inquirenti l’utilizzo dei “criptofonini”, strumenti sofisticati che garantivano l’inviolabilità delle comunicazioni, al riparo da intercettazioni e con utilizzo di sistemi di cifratura delle conversazioni, costituisce ulteriore elemento significativo di una elevata capacità criminale degli indagati. L’utilizzo dei contenuti delle chat criptate è stato recentemente un argomento dibattuto, con la pronuncia recentemente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui “l’emissione, da porte del pubblico ministero, di ordine europeo di indagine diretto ad ottenere il contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall’autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad esso, non deve essere preceduto da autorizzazione del giudice italiano, quale condizione necessaria (…) perché tale autorizzazione, nella disciplina nazionale relativa alla circolazione delle prove, non è richiesto per conseguire la disponibilità del contenuto di comunicazioni già acquisite in altro procedimento”.

L’avvio del business tra Ietto e Canella

Estrapolando parte dei messaggi contenuti nella relativa chat criptata su SkyEcc, gli inquirenti hanno ricostruito la gestione «delle attività di spaccio intrapresa dal duo Ietto-Canella» riporta il gip nell’ordinanza, riportando i PIN utilizzati nelle conversazioni. Il primo, classe ’00, calabrese di Locri, il secondo romano classe ’88, entrambi finiti in carcere nel blitz “Pit Stop” coordinato dalla Dda di Roma. È il 13 settembre 2020 quando Ietto comunica al socio romano Canella di «aver acquistato della sostanza e di aver preso una “piazza” che nella peggiore delle ipotesi avrebbe fruttato almeno 2.000 euro al giorno», riporta il gip. Canella replica «dicendo che ha fatto bene e che da parte sua si sarebbe dato da fare per recuperare i soldi da investire nella nuova attività, sottolineando che la vendita al dettaglio della piazza rende molto di più», annota ancora il gip. Dal canto suo il calabrese, dando conferma, afferma comunque che ha anche la «possibilità di fare lo “spacchetto”», termine usato in gergo per indicare la vendita di un kg di stupefacente suddiviso in etti o mezz’etti. Una modalità che comporta un aumento del prezzo di vendita e, quindi, un maggiore guadagno. «Va bene compa sto prendendo fumo e prendiamo robba che o preso piazza se tutto va bene spacchiamo». «Bravo compa hai fatto bene io cerco di rimediare soldi».
In un’altra conversazione criptata salta fuori il nome di un certo “Escobar”. È Ietto – come riporta il gip nell’ordinanza – a nominarlo, riferendo a Canella di preparare, per il lunedì successivo, quanto necessario per la partenza della piazza, «indicando la ripartizione dei guadagni tra loro cd una terza persona», mettendo in preventivo la possibilità di proporre a quest’ultimo il solo acquisto della fornitura dello stupefacente necessario alla piazza di spaccio al costo di “40 o 42” ovvero 4.000 4.200 euro l’etto, da pagare in un tot di giorni, annota il gip nell’ordinanza. «Calcola Ale i 03 li vende a 90 euro» «Comunque io li preparo poi vedi tu». Ottenute le necessarie rassicurazioni, il calabrese conferma di procedere a preparare tutto il necessario «per la partenza della piazza per il lunedì successivo» si legge «incaricando lo stesso Canella di acquistare tre telefoni e tre schede telefoniche da impiegare nell’attività di spaccio».

5mila euro al mese

«Se riesco o preso un telefono con tanti contatti» «Prendilo compa che e buono» «Pure se lo dobbiamo pagare paghiamolo» «Gli dobbiamo dare un mensile (…) lui vuole 5.000 al mese». Secondo l’accusa, e come riporta il gip nell’ordinanza, «Ietto si dichiarava pronto a gestire personalmente un “telefono” (contenente i recapiti di numerosi clienti), da noleggiare insieme a Canella al costo di 5.000 euro mensili, stimando cessioni settimanali per 100 grammi», annota ancora il gip. Nelle chat criptate “bucate” dagli inquirenti spunta poi il nickname di un tale “Carlitos”. Dalla ricostruzione della Dda della Capitale, si tratterebbe di un soggetto calabrese non identificato. Il suo nome salta fuori a gennaio del 2021 quando Ionescu – per conto del romano Canella – si dirige in Calabria «per ricevere 13 chilogrammi di cocaina da consegnare a Milano per conto di questo soggetto calabrese». Appunto “Carlitos”. In quella occasione Ionescu si sarebbe incontrato con l’altro calabrese, Minnella, nel Comune di Ardore Marina, per poi ripartire alla volta di Roma, nascondere la droga nell’auto e dirigersi nel Milanese al cospetto di “Carlitos” che, a sua volta, richiede il trasporto di un secondo carico di droga per un totale complessivo di 17 chili di cocaina.

La droga nascosta e il telefono sparito

Tra le chat acquisite, poi, anche le conversazioni dei protagonisti dell’inchiesta che aiutano a capire quanto fossero fondamentali i criptofonini in loro possesso. In particolare, il romano Canella ammetteva di essere «preoccupato del fatto che la Polizia potesse trovare la droga custodita nel controsoffitto, oltre a quello custodito dal padre e all’altro in arrivo» annota il gip nell’ordinanza, nell’officina che gestiva a Roma. Nel raccontare le fasi della perquisizione Canella «racconta alla moglie il momento del controllo dove era occultalo lo stupefacente non rinvenuto, specificando che lo aveva sistemalo in modo da non essere visibile» ma si lamentava anche della gestione dei suoi soldi da parte della compagna e della moglie. Il romano, infatti, rimproverava le stesse di avere fatto sparire il telefono criptato nel quale custodiva tutti i contatti necessari all’acquisto ed alla vendila dello stupefacente, «ritrovandosi allo stato attuale con un milione e mezzo di euro di debito nei confronti dei suoi fornitori, senza telefono e senza possibilità di rimproverare Ionescu», riporta ancora il gip nell’ordinanza. «(…) quello che c’è la sopra portateli a casa… non li tocca’… che fa questa? pija e da i pacchi a Cristian! E c’ho perso 170 mila… er telefono mo butta… mo io a questi un milione e mezzo jo devo rida’!» «(…) quindi mo me trovo un milione e mezzo de debito co loro giù…». Nel prosieguo del dialogo si può intuire l’importanza del criptofonino in suo possesso. «(…) ho fatto un macello er telefono nun c’ho più er telefono co tutti i contatti dove posso ripijà a roba e rivende… perché lo avete buttato e sto a cerca da ripijallo… un telefono criptato che io avevo fatto spari apposta… mo so fatto sequestra a posta er telefono…». (g.curcio@corrierecal.it)

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