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Maestrale Carthago

‘Ndrangheta, i terreni e la “quota” di Ascone. «Operava per i Mancuso, il nome ha un prezzo»

In aula bunker il racconto dell’ex rampollo del potente clan di Limbadi sui rapporti dei “capi” con “U Pinnularu”. «Creava casini con tutti»

Pubblicato il: 16/08/2024 – 10:31
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, i terreni e la “quota” di Ascone. «Operava per i Mancuso, il nome ha un prezzo»

LAMEZIA TERME «A quel Moisè hanno fatto l’estorsione perché, ormai a fatto compiuto, si erano accorti in ritardo che quello si era preso il terreno, ma l’hanno bacchettato subito. Evidentemente Ascone non voleva il terreno e nemmeno mio zio quindi si sono presi dei soldi». Lo ha detto in collegamento in aula bunker il collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso, ex rampollo dell’omonimo clan di ‘ndrangheta di Limbadi. Il giovane ha parlato nel corso del processo “Maestrale” di scena davanti ai giudici del Tribunale di Vibo Valentia.

Il processo

Interrogato dal pm del pool antimafia della Dda di Catanzaro, Antonio De Bernardo, Mancuso ha illustrato i dettagli legati alle compravendite dei terreni da parte dell’imputato Salvatore Ascone “U Pinnularu”. «C’era più di una questione di un terreno» ha spiegato ancora il collaboratore di giustizia «siamo andati con Ascone in mezzo a questi ulivi e gli ha detto: “come ti sei permesso a prendere il terreno?” e poi “tu sai che qua ci interessa tutto a noi?”. Insomma, tutte queste robe qua, il solito discorso quello di Ascone, io sono andato lì sono in rappresentanza». Quando il pm chiede Ascone per «conto di chi si era recato da questo soggetto», la risposta del pentito è chiara: «Sempre per conto della famiglia Mancuso. Lui non può operare così da solo». E ancora: «Finché vende un chilo di cocaina, vabbè, tanto ci passa i soldi per i detenuti e non ci fa niente, poi il resto fa tutto per la famiglia».

«Mi sono tenuto 500 euro»

Il racconto dell’ex rampollo dei Mancuso prosegue: «Poi si sono messi d’accordo. Se ricordo bene erano 10mila, di cui 8mila andarono allo zio Diego e 2mila restarono a Ascone e questi li pagò in due o in tre tranche. Io ricordo che io mi sono tenuto 500 euro per pagare delle multe. Questo mi ricordo». «Lui quel giorno disse: “vabbè, vado in banca, me li faccio prestare, perché ho già speso un sacco di soldi per comprare”, qua e là e diceva “se sapevo manco me lo prendevo”. Poi si sono messi d’accordo per i soldi, sono stati in due tranche, se ricordo bene, e lui, questo Moisè, disse che si andava a fare il finanziamento, non mi ricordo quello che disse di preciso e, poi, diede prima una parte e, poi, un’altra parte dei soldi». Mancuso ricorda che la consegna del denaro avvenne in contanti «cash» e che la parte per lo zio Diego la consegnò proprio lui. «Li ho portati a coso, all’Eden. Mi sono tenuto 500 euro, me lo ricordo, perché c’erano delle multe che dovevo pagare per forza, perché la macchina era intestata a qualche mio familiare pulito, insomma».

La droga nascosta nelle buche

Nel suo racconto, ancora su input del pm, il collaboratore Mancuso ricorda un altro episodio legato alla compravendita di un terreno. «Ascone si era già preso il terreno. Questo qua non voleva vendere in nessun modo, se ricordo bene, e, poi, alla fine, si sono aggiustati e gli diede la quota solo a Diego, poi, con questo qua. Credo che costasse sui 180/200 mila euro quel terreno. Ascone ricordo che ce l’aveva il terreno, già lui coltivava lì, perché lui era entrato non so in quanti terreni. Aveva sempre casini con la gente, perché gli liberava le pecore, magari entravano, facevano buche, nascondevano armi a gogò, cocaina, ma io non parlo di cocaina di qualche chilo eh o qualche migliaio di euro contanti o due armi! Io parlo di quantità a livello industriale, dottore». Nel suo racconto Mancuso illustra ulteriori dettagli. «Era proprio dopo la curva, a scendere da casa a Limbadi, della sua campagna, vicino alla Chindamo, lato opposto della strada, si entra in una stradina a destra, dove lui teneva gli animali. C’è una cancellata, non so se l’avevano messo loro o meno, comunque lo aprivano, entravano ed io mi ero accorto di una cosa in particolare: c’era il figlio Rocco che faceva buchi con la trivella. Dice: “ma chi li fa tutti questi buchi?” E non ti “muccinare”, mi ha risposto Ascone. Facevano le buche per nascondere questa roba».  «Poi si è comprato quel terreno sui 180 – 200 mila euro. Era grande quel terreno, sì. Poi mandò dei formaggi a mio zio».

«Pagava la quota come chiunque»

«Ricordo che io parlai con lo zio Diego» ha raccontato ancora il collaboratore, «gli dissi che era più conveniente prendersi la droga in quel caso perché, se Ripepi la rivendeva a un prezzo maggiorato, piuttosto che guadagnare venti, ne avrebbe guadagnati 30, dice: “che ti serve averli subito, piuttosto che 30 tra quindici – venti giorni” e lo zio, siccome si fidava di me, disse: “sì, sì, va bene”». Il riferimento è alla “quota” che Ascone, come chiunque altro, avrebbe dovuto versare ai Mancuso per l’acquisto del terreno. Perché, ha spiegato Mancuso, «valeva molto più di 180mila euro e normalmente se tu usi il cognome Mancuso, comunque fai parte della cosca, devi comunque versare, il principio era uguale per tutti». (g.curcio@corrierecal.it)

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