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Le donne nella ‘ndrangheta, Frustaci: «coinvolte nel riciclaggio e nella gestione del denaro»

La sostituta procuratrice della Dda di Catanzaro a “Specchio”. «Non ricevono le doti, ma tre sono al 41 bsi»

Pubblicato il: 03/09/2024 – 7:43
Le donne nella ‘ndrangheta, Frustaci: «coinvolte nel riciclaggio e nella gestione del denaro»

LAMEZIA TERME Un magistrato in trincea nella lotta alla criminalità organizzata calabrese, la sostituta procuratrice della Dda di Catanzaro Annamaria Frustaci, insieme ai colleghi Antonio De Bernardo e Andrea Mancuso, ha sostenuto l’accusa nel maxi processo Rinascita Scott contro le cosche di ‘ndrangheta vibonesi. Autrice del libro “La ragazza che sognava di sconfiggere la mafia“, Frustaci, nel corso di una lunga intervista su “Specchio” inserto del quotidiano “La Stampa”, ha parlato del ruolo delle donne nella ‘ndrangheta. «Le donne non partecipano ai riti di affiliazione, non ricevono cariche e doti, né vi sono nomi femminili che compaiono nelle copiate. Una seconda differenza – che negli ultimi anni sta mutando – il maggiore coinvolgimento delle figure femminili in condotte di riciclaggio e reimpiego di proventi illeciti, o nella gestione del patrimonio e delle attività economiche ed imprenditoriali della cosca, più che in condotte decisorie».

Il ruolo delle donne

Delle donne dentro e contro la ‘ndrangheta ci siamo occupati (LEGGI QUI). «Non stanno in casa ad aspettare i compagni o i mariti criminali, ma assorgono ad un ruolo importante nell’organizzazione», sostiene Stefano Nazzi intervistato dal Corriere della Calabria nel corso della preparazione di una puntata di “Calabria dell’altro Mondo”. Una tesi sostenuta anche da Frustaci. «Ci sono tre donne calabresi sottoposte al 41 bis. Si tratta di Aurora Spanò (al vertice della cosca Bellocco di San Ferdinando), Teresa Gallico (reggente della ’ndrina Gallico di Palmi) e Nella Serpa (reggente dell’omonima cosca consorteria di Paola). Hanno incarnato il ruolo di vertice delle cosche di riferimento, impartendo ordini e direttive e finanche, come nel caso di Nella Serpa, programmando omicidi per vendicare i congiunti caduti in una faida». Le “onorate” calabresi si distinguono dalla malandrine legate alla Camorra. «Nella camorra (…) le figure femminili di rilievo criminale fin dai primi anni ’70, storicamente hanno avuto un ruolo cruciale nel nucleo domestico, come consigliere e custodi dei valori mafiosi». Infine, Frustaci si sofferma sul rapporto tra onore. «Mi viene in mente il ruolo della madre della testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola. Quest’ultima inizia a rendere dichiarazioni perché vuole cambiare vita, grazie alla relazione sentimentale che aveva intrapreso da poco e che le aveva fatto aprire gli occhi. La nostalgia peri figli rimasti in Calabria, hanno indotto la testimone a chiamare la madre, Anna Rosalba Lazzaro, che ha avuto un ruolo chiave per l’abbandono della località protetta». La storia di Cacciola per la pm ricorda il caso di Saman Abbas. Un paragone che aveva suggerito anche il procuratore di Reggio Emilia Gaetano Paci. «La struttura della famiglia Abbas simile a quella di una ‘ndrina calabrese». Una vicenda, che aveva detto ancora Paci, ricorda una testimone di giustizia vittima di ‘ndrangheta: «Maria Concetta Cacciola, costretta dai familiari nel 2011 a ingoiare acido muriatico». (redazione@corrierecal.it)

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