Sono pene pesanti quelle invocate dal sostituto procuratore della Direzione investigativa antimafia di Brescia, Claudia Moregola, nei confronti degli imputati del processo – nel troncone abbreviato – nato dall’inchiesta ribattezzata “Isola Orobica”.
Si tratta di un processo che ha riunito le due operazioni condotte a febbraio e ad aprile del 2021 con l’arresto di decine di persone eseguito da Carabinieri e Guardia di Finanza. Gli inquirenti sono sicuri di aver messo in luce un sistema di estorsioni nel campo dei trasporti di merce su strada, oltre ad un meccanismo di false acquisizioni societarie, fallimenti fraudolenti, fornitura di prestiti a tasso usuraio e reimpiego di capitali illeciti, ma non solo.
Nel mirino degli investigatori, alcuni appartenenti alla cosca Arena che, con la complicità di un imprenditore locale, «avrebbero messo in piedi un complicato sistema di acquisizione fittizia di una ditta di trasporti, al fine di poter operare in prima persona all’interno del settore e, soprattutto, per poter riciclare soldi provento di illecite attività. Tutti i reati venivano commessi con la finalità di agevolare la cosca Arena di Isola di Capo Rizzuto. La condanna più pesante è stata invocata per Marino Tarasi – 18 anni – considerato dagli inquirenti «appartenente al clan “Arena” (ramo Cicala) per aver sposato Antonella Arena, figlio di Giuseppe noto come “U piddaro”, scomparso nel 2008 e ritenuto vittima di lupara bianca».
Del collegio difensivo fanno parte gli avvocati: Sergio Rotundo, Francesco Marzano, Francesca Buonopane, Giuseppe Gervasi, Vincenzo Sorgiovanni, Giuseppe Napoli, Tiziano Saporito.
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