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Mongiana, Danilo Franco: «Critiche politiche e non sociologiche»

La replica di Leporace: «Il mio bisnonno è stato ufficiale dell’esercito borbonico, ma la genia non m’impedisce di capire la Storia»

Pubblicato il: 26/11/2024 – 10:09
Mongiana, Danilo Franco: «Critiche politiche e non sociologiche»

Riceviamo e pubblichiamo la replica di Danilo Franco all’articolo di Paride Leporace :

«La canzone di Eugenio Bennato “ Mongiana” ha riacceso le luci sul trascorso industriale della Calabria e in particolare su Mongiana. Molti i complimenti ricevuti da Bennato, critiche sul testo dai contenuti storici.
Questa volta a criticare, tacciando Bennato di revisionista, tocca al giornalista Paride Leporace, che stimolato forse o supportato dal libro di Andrea Mammone “Il mito dei Borbone” riaccende la miccia per fare fuoco sui Borbone, su Mongiana e sul Sud. Mi verrebbe da dire “ci risiamo”, non capendo affatto dove Leporace voglia parare con le sue critiche, che in verità non sono affatto originali.
Critiche più politiche che non sociologiche ed economiche effettuate con un semplice copia incolla articolato in modo tale da trasformare delle mezze verità in verità assolute.
In passato ho risposo al giornalista Varano, citato anche da Leporace, il quale dava anche lui un suo giudizio negativo su Mongiana e sull’industria calabrese.
Ripropongo in sintesi ciò che ho già scritto in quanto saranno risposte adeguate anche allo scritto del Leporace.
Il mio contributo non vuole assolutamente difendere a spada tratta i Borbone, ma vorrei soffermarmi su quanto fu fatto in Calabria in passato ed in particolare a Mongiana. Ricordo ai più che i Borbone governarono circa 130 anni le sorti del loro Regno, anni nei quali ci furono delle parentesi con dominazioni dei francesi e qualche “puntatina” austriaca, ma constato che i “mali” sono addotti esclusivamente ai Borbone.
Nell’articolo del Leporace si cita il museo della fabbrica d’armi di Mongiana, che si è aperto al pubblico alla presenza della principessa Beatrice di Borbone, il museo è attivo e di sicuro sta portando avanti un’ opera meritoria, perché consente di far conoscere pagine del “libro” della storia siderurgico-mineraria del comprensorio, senza tralasciarne alcun aspetto. Il museo mostra cosa c’è ancora sul territorio, del trascorso industriale del comprensorio.
Le fabbriche del polo industriale Mongiana-Stilo, erano una realtà, forse non “felice” per gli standard di oggi, ma erano di certo una importante realtà produttiva, dove le condizioni per gli operai non erano peggiori delle altre industrie siderurgiche europee. Il lavoro era duro. Si moriva per incidenti allora come oggi (leggi ThyssenKrupp Torino ). Ci si ammalava allora come oggi. Qui venivano a lavorare operai dal nord Italia e dal centro Europa.
Una domanda sorge spontanea. Se le condizioni di lavoro fossero state così pessime, sarebbero venuti operai extra-Regno a Mongiana e a Pazzano per essere sfruttati nei lager? Ma erano lager sono quando le gestivano i Borbone o lo erano anche durante il decennio francese?
Per verificare il reale stato delle industrie di Mongiana, non bastano sporadiche testimonianze di viaggiatori del tempo scelte con cura, o di scrittori meridionali, che forse non conoscevano la realtà oggetto dei loro scritti, ma bisogna contestualizzare il tutto nel periodo storico degli accadimenti e nella globalità dei documenti a disposizione.
Leporace cita uno scritto di Giuseppe Maria Galanti, che nel 1792 ci fa sapere che a Mongiana lavorassero appena 200 addetti e che questi raggiungevano a stento i 40 anni.
Le ferriere di Mongiana nascono nel 1765 circa. Progettista fu anche l’architetto urbanista Mario Gioffredo, architetto Regio, che per la sua preparazione era definito il “Vitruvio di Napoli”. Si stava fondando ex novo una area industriale con tutte le difficoltà del caso. Nel 1783 il terremoto distrugge tutto. Si ricomincia a edificare gli opifici. Mongiana cresce e le prime baracche vengono sostituite da case in muratura che ancor oggi costituiscono il paese. Si ingrandisce la fonderia si inizia la fabbrica d’armi. La vita, della comunità era regolata da norme scritte e le rendicontazioni della vita a Mongiana sono conservate a decine di migliaia nell’archivio di stato di Catanzaro, altre a Napoli. Leggiamole tutte, non soffermiamoci solamente su un documento risalente al 1792.
Il Merito allo stato “disastroso” dell’ economia nel Regno basta leggere, il lavoro della ricercatrice Belga Stèphanie Collet, (storica della finanza della Université Libre de Bruxelles) “Gli eurobond che fecero l’Unità d’Italia quando il Regno di Napoli era come la Germania”, oppure i “Quaderni di storia economica della Banca d’Italia, n. 4 luglio 2010”, dove si legge “che l’arretratezza evidente del Mezzogiorno alla vigilia della Grande Guerra, non era stata ereditata dalla storia pre-unitaria”. Ed inoltre suggerisco di studiare i testi scientifici del professore Vittorio Daniele che fanno emergere in modo incontestabile le luci e le ombre della società meridionale confrontata con il resto d’Italia.
E se ciò non bastasse, basta soffermarsi sui dati emersi dal primo censimento del 1861, oppure sui dati Svimez del 1961 pubblicati in occasione dei cento anni dell’unificazione, ci si renderà conto della reale consistenza economica e industriale che il sud e in particolare la Calabria avevano prima dell’annessione.
Cito solo un dato, la Calabria era secondo quei dati, sicuramente non filoborbonici, la regione più industrializzata d’Italia. Si noterà, che la disoccupazione in Calabria era minima, avendo la nostra regione una percentuale di occupati del 72%, mentre il Piemonte si fermava al 60%.
Mongiana sicuramente non avrebbe retto nel tempo il mercato, lo ammetto, ma uno stato unitario, se veramente tale, avrebbe potuto e dovuto attuare una politica di riconversione per dare occupazione a quegli operai che, da questa mancata azione, furono fatti morire di fame e costretti ad emigrare.
In merito alle condizioni operaie: a Mongiana e Pazzano lavoravano solo uomini adulti con qualche ragazzo addetto alle miniere su base volontaria.
Nella felix e civile Inghilterra, co-artefice della caduta del Regno, in base alla legge sul lavoro minorile 1770-1886, i minatori erano proprietà del padrone e nelle miniere lavoravano spesso con collari di ferro che indicavano la proprietà del possidente. I figli appena nati erano già considerati proprietà del signore di turno e appena possibile lavoravano al fianco dei genitori. I bambini lavoravano già a quattro anni per undici ore al giorno. Non si citano apparati industriali del nord perché del tutto inesistenti o allo stato artigianale.
Per quanto concerne i 40 di vita degli operai di Mongiana, dati ISTAT, ci ricordano che la speranza di vita in Italia nel 1881 fosse appena di 35,2 anni per gli uomini e 35,7 per le donne. Certo nelle fonderie di Mongiana il lavoro era duro si moriva sia per le dure condizioni di lavoro, sia per incidenti, ma questo avveniva in tutta Europa e non solo a Mongiana.
Leporace “scherza” sui 2500 addetti all’industria delle Serre Calabre. Aggiungo duecento operai attivi nel 1792, erano un gran numero per una fonderia in ripresa, essi rappresentano i soli operai addetti alla fusione e non tengono conto dei minatori, trasportatori, carbonai ecc…
Un altro illustre storico calabrese, Gaetano Cingari, ci fa sapere che intorno al 1860 erano impegnati alle produzioni a Mongiana ben 800 operai. Punte di 1200 si toccavano nel caso ci fosse bisogno di aumentare le produzioni richieste. Agli operai di Mongiana andrebbero aggiunti anche quelli della fonderia di Ferdinandea che si aggiravano attorno alle tre-cinquecento unità ed ancora le maestranze impegnate nelle ferriere del principe Filangieri di Razzona, altri due-trecento. A questo punto tenuto conto dell’indotto i conti tornato e si può affermare che non 2.500 ma ben quattro-cinquemila persone vivevano grazie al polo industriale siderurgico delle Serre. Se rapportati alla popolazione attuale della Calabria si toccherebbero le 10.000 unità.
Si sottolinea nell’artico di Leporace l’arretratezza degli impianti siderurgici di Mongiana, non sapendo o facendo finta di non sapere cosa disse il colonnello garibaldino Alessandro Massimino che occupò nel 1861 e diresse per un paio di anni Mongiana, il quale si complimentò con il direttore di Mongiana per lo stato dell’opificio e riconfermò nel suo ruolo l’ingegnere Savino fautore e artefice delle produzioni.
Leporace forse non ricorda che gli altoforni di Mongiana alti ben 11 m. erano considerati i “giganti” della siderurgia italiana, che la produzione di ghisa era alla pari di tutte le industrie del Piemonte e Lombardia messe assieme, che dalle fonderie Calabresi uscirono i componenti per i primi ponti sospesi in ferro d’Italia, che vi fu prodotta la ghisa per i binari della ferrovia Napoletana, che furono realizzati i 38 km dell’acquedotto Carolino, ecc…
Il Leporace dice che “Erano opifici antiquati e poco concorrenziali”. A Mongiana in verità dopo il 1852 furono costruiti due modernissimi altoforni del tipo inglese “Thomas-Laurent”. Mi viene da pensare che secondo Leporace gli altoforni inglesi saranno stati moderni se attivi in Inghilterra e allo stesso tempo obsoleti se funzionanti in Calabria. Beh, punti di vista che lasciano il tempo che trovano».

La controreplica di Paride Leporace:

Al professore Danilo Franco che ritiene di conoscere quello che leggo, compreso il volume di Mamone che ancora non ho consultato, mi piace far sapere che il mio bisnonno è stato ufficiale dell’esercito borbonico, ma la genia non m’impedisce di capire la Storia. Mi fermo qui, considerato l’atteggiamento screanzato (per non dire altro) di chi accusa il mio articolo di essere frutto di “copia e incolla” che ritengo offesa grave. Evidentemente i nostalgici del sanfedismo hanno ben interiorizzato i principi dei loro eroi.
Ps Le consiglio di leggere “Elogio dell’ignoranza e dell’errore” di Gianrico Carofiglio.

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