COSENZA Michele Padovano, compagno di squadra e grande amico di Denis Bergamini a tempi di Cosenza, è stato uno dei tanti calciatori del Cosenza che ieri hanno preso parte alla commemorazione avvenuta con una visita sulla tomba di Bergamini, a Boccaleone. Bergamini, lo ricordiamo, trovò la morte il 18 novembre 1989 a Roseto Capo Spulico, lungo la SS106 Jonica. Un gesto carico di emozione e affetto da parte di tantissimi protagonisti di quel Cosenza che, nel campionato 1987-88, conquistò la storica promozione in Serie B. Intervistato dal Corriere di Bologna, Padovano ha ricordato il suo grande amico e quegli anni cosentini. È «come se quel Cosenza – ha detto – non avesse mai smesso di giocare. Dopo trentacinque anni mi è sembrato che il tempo si sia fermato e nulla sia cambiato. Ritrovarci nel segno del nostro grande amico è stato un gesto nobile. Un momento bello e piacevole, soprattutto ora che finalmente abbiamo iniziato a scoprire quella che è la verità. È stata una giornata bellissima per tutti». Per la morte di Bergamini, lo scorso 1 ottobre è stata condannata in primo grado l’ex fidanzata Isabella Internò con l’accusa di omicidio volontario in concorso con ignoti. «Lo conoscevamo – ha detto ancora Padovano – sapevamo quanto amava la vita e quanto ne era legato. Abbiamo sempre saputo che quanto raccontato in tutti questi anni erano fandonie. Così come abbiamo sempre creduto nella giustizia e nella verità, anche se è arrivata in modo lento. Trentacinque anni sono interminabili, ma alla fine ne è valsa la pena. Quella sentenza ridà dignità a noi, che gli abbiamo tutti voluto bene, ma soprattutto alla sua famiglia, che per anni ha dovuto vivere con un ricordo di Denis ferito da chi diceva che si era ucciso. Oggi sappiamo che non è stato così». Padovano, come già evidenziato in altre circostanze in passato, ha affermato che Denis Bergamini «era il migliore di tutti noi e lo abbiamo detto in tutte le salse. Un ragazzo meraviglioso, solare, con una parola buona per tutti i compagni. Simpatico e gioviale. Insomma, il mio fratellone maggiore perché era più vecchio di me. Per quattro mesi, fino al giorno della sua morte, ho avuto la fortuna di abitarci insieme e di conoscerlo meglio». Un legame talmente forte che il figlio di Padovano porta proprio il nome di Denis. «Ogni volta che lo chiamo – ha rivelato l’ex calciatore di Cosenza e Juventus – o che lo vedo è come se, con lui, rivedessi anche Denis. Era il minimo che si potesse fare dopo quanto accaduto. Anzi, avevo il dovere di farlo. E oggi, conosciuta la storia di Denis, mio figlio va orgoglioso di portare il suo nome». Padovano, nel corso del processo Bergamini, è stato costretto a difendersi dalle accuse di frequentazioni con ambienti della malavita. «Quelle insinuazioni le ho vissute molto molto male – ha spiegato – C’è stato un tentativo di depistare quella che era la verità, infangando il nome di Denis e accostandolo al mio. Quello che poi ho vissuto in questi anni non ha aiutato e ha servito su un piatto di argento la possibilità di depistare la strada verso la verità a chi ne aveva interesse, riuscendoci». Infine un passaggio sull’arringa finale nel processo Bergamini dell’avvocato Fabio Anselmo, in particolar modo su una frase: «Quando parlate di Padovano, sciacquatevi la bocca».
«Ero in aula – ha ricordato Padovano – è stato bellissimo. Fabio Anselmo è entrato in sintonia con me sin dagli inizi, quando ha capito quanto ero legato a Denis». «Credo che sia emerso un primo pezzo di verità – ha detto ancora Padovano al Corriere di Bologna – che chiaramente non è completa. Ora aspettiamo con ansia che la vicenda arrivi a un finale». (f.v.)
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