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I VERBALI

‘Ndrangheta, la latitanza e i rapporti difficili con i Campisi-Cuturello. Il pentito Megna: «Alfonso alla fine cercò di fare pace»

Ai pm ha illustrato le fasi successive all’omicidio di Muzzupappa e i “dispetti” subiti. «Eravamo considerati di “contorno”»

Pubblicato il: 13/02/2025 – 11:25
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, la latitanza e i rapporti difficili con i Campisi-Cuturello. Il pentito Megna: «Alfonso alla fine cercò di fare pace»

VIBO VALENTIA «L’omicidio di Muzzupappa da me commesso si colloca nell’ambito di un quadro che vede due fazioni contrapposte: Antonio e Francesco Pio Campisi ritenevano che la mia famiglia, io, mio padre e mio fratello Giuseppe, fosse vicina a Pantaleone Mancuso “l’ingegnere”, anche per il fatto che mio fratello era fidanzato con la figlia di quest’ultimo». «Noi effettivamente attuavamo delle condotte di vero e proprio favoreggiamento nei loro confronti ed eravamo a affiliati al gruppo dell’“Ingegnere” ma anche di Pantaleone Mancuso “Scarpuni”. Non so mio padre, ma io non ho mai fatto affari con loro, però mi ritenevo parte della loro famiglia». A parlare è il collaboratore di giustizia Pasquale Megna (cl. ’85), ascoltato dai pm della Dda di Catanzaro. Le sue dichiarazioni, alcune inedite altre invece già note, hanno riempiti centinaia di pagine di verbali, ora acquisiti nel processo d’appello di “Rinascita-Scott”.

L’omicidio Muzzupappa

Il racconto di Megna, ovviamente, non può non toccare l’omicidio Muzzupappa commesso a Nicotera il 26 novembre 2022. «In un primo momento – ha detto – sono stato in buoni rapporti con lui, anzi siamo cresciuti insieme, abbiamo anche dormito assieme, poi non so per quale motivo si è avvicinato ai Campisi e ha cambiato completamente atteggiamento, fino ad arrivare la sera in cui l’ho ucciso a sembrare “un diavolo”». A proposito di Muzzupappa, Pasquale Megna, dopo aver descritto le fasi concitante che hanno portato al suo omicidio, ha raccontato anche le fasi immediatamente successive. «Dopo aver sparato, quando mi sono guardato attorno, mi sono accorto che non era rimasto più nessuno nella sala dove mi trovavo. Ricordo però che di aver visto Congiusti e di avergli detto di “scippare” le telecamere, cosa che lui ha effettivamente fatto anche se non so poi a chi abbia consegnato il registratore. Dopo sono semplicemente scappato dalla porta sul retro dopo aver detto ad Angelo Carrieri di andare a prendere la mia macchina che si trovava dalla parte opposta ovvero da quella dell’ingresso principale del bar». E ancora: «Durante il mio periodo di irreperibilità, ho affrontato con mio padre la questione del registratore e mi sembra che lui mi abbia rassicurato in proposito, dicendomi che addirittura le altre telecamere del paese non erano funzionanti e che le “robe”, ovvero i vestiti, li avevano incendiati».  

La latitanza

«Quando sono entrato nell’auto – ha raccontato ancora Megna – mi sono fatto portare presso l’abitazione di Gennaro Burzì a Monte Poro. Poi ho detto ad Angelo di andare via e di lavare l’auto e di rompere il telefono per evitare che potessero fare delle analisi per rilevare i residui di polvere da sparo. Gennaro mi ha poi portato in casa di un suo omonimo dove ho fatto chiamare il mio compare Leo Lentini. Al suo arrivo ricordo che mi hanno portato in un consorzio dove vendono mangimi e che si trova vicino al ristorante “Il Ducale” al cui interno c’era una stanzetta con un divano. Il proprietario, dopo aver saputo dell’omicidio, si è spaventato e anche per questa ragione siamo andati via. Ricordo che quella sera mi hanno anche portato una pizza. Lentini mi ha poi portato a casa sua perché in quel consorzio faceva troppo freddo. Il giorno dopo, dopo essere ritornati al consorzio, sono arrivati Costantino Panetta e mio fratello Giuseppe e mi hanno portato nella casa della madre di Costantino, dove sono rimasto sino a quando non mi avete tratto in arresto».

La vicinanza ai due Luni Mancuso

Il pentito, faccio un passo indietro nel passato, ha anche raccontato quelli che erano i rapporti “delicatissimi” con le altre fazioni e che, in una certa misura, hanno influito sul corso della storia. «Gli screzi tra la famiglia Campisi-Cuturello e la mia famiglia risalgono ad ancora, anche se di poco, prima dell’omicidio di Mimmo Campisi», racconta ancora Megna ai pm ma «credo che questi attriti derivassero dal fatto che noi eravamo legati da vincoli di parentela a Luni “Scarpuni”, ha precisato «noi non abbiamo mai fatto alcuno sgarro alla famiglia Campisi-Cuturello e, che io sappia, nemmeno mio padre ne ha mai fatti. Abbiamo sempre e solo subito le angherie di queste famiglie, anzi abbiamo sempre cercato di mandare imbasciate per mettere pace, ottenendo come risposta solo rifiuti o false rassicurazioni». E spiega ancora il pentito: «I dispetti dei Campisi li subivamo solo noi in quanto eravamo una famiglia considerata “di contorno”, vicino alla fazione dell’“ingegnere”. Quando zio Luigi, “Scarpuni” e Giuseppe Mancuso figlio dell’“ingegnere” erano in libertà, i Campisi però non si vedevano in giro anche se ci facevano i dispetti».

Omicidio Muzzupappa Nicotera
Il luogo dell’omicidio di Giuseppe Muzzupappa

Le “meschinate” dei Campisi-Cuturello

Megna parla di «meschinate fatte alla mia famiglia» tra cui una bomba posizionata davanti al portone di casa, «voluto da Totò Campisi, da Salvatore Cuturello e da Mico Nhji, almeno così mi aveva raccontato Alfonso Cuturello, figlio di Salvatore, il quale mi disse che colpendo me volevano fare un dispetto ai due cugini, ai due Luni Mancuso, “Scarpuni” e l’“Ingegnere”, anche lo stesso Alfonso Cuturello era coinvolto nella vicenda». «So chi furono i mandanti perché, dopo tutte le cose che ci hanno fatto, ho avuto modo di parlare con Alfonso Cuturello». Il pentito, oltre alla bomba, ha parlato di un incendio all’abitazione di Pasquale Garofalo «persona originaria di Cosenza, con la moglie ed il figlio piccolo dentro casa al momento dell’incendio», l’incendio della finestra di casa in c.da Mineo e un bigliettino «di cui mio padre non ci ha mai voluto dire cose c’era scritto». Poi l’incendio alla casa di campagna, «tra l’altro da quella casa, prima di incendiarla, si sono portati via una carabina di libera vendita ad aria compressa ed un coltello particolare con tante lame che poi è stato visto a casa di Mico Nihji dove ora abita suo padre Peppe ‘Mbrogghia. Da questo elemento ho avuto una ulteriore conferma che son stati loro».

Il chiarimento con Alfonso Cuturello

Dopo tutti questi episodi, sempre secondo il racconto del pentito, «un giorno mi ha invitato a cena, come ogni anno dopo la tosatura delle pecore, Giovanni Rizzo “Mezzodente”, dato che con me faceva due facce. Mi ha invitato a mangiare al ristorante e accettai, arrivai tardi e mi dovetti sedere davanti ad Alfonso Cuturello nonostante fossimo nemici e non ci parlassimo. Ad un certo punto, Alfonso stranamente iniziò a darmi retta e a darmi confidenza, a versarmi il vino nel bicchiere, come se tra noi non fosse successo niente». Successivamente c’è stato un altro incontro, l’occasione per un chiarimento definitivo tra Megna e Alfonso Cuturello a Nicotera Marina. «Alfonso si mise a parlare e mi chiese subito se potevamo finirla di comportarci in quel modo», racconta il pentito ai pm. «Da parte mia dissi ad Alfonso di tutte le cose che ci avevano fatto e gli nominai la casa di campagna incendiata, la porta sparata, la finestra di casa incendiata con il bigliettino lasciato sul posto, la bomba davanti al portone. Gli elencai tutti i fatti». «Alfonso non ha disconosciuto quei fatti che gli ho elencato – ha detto ancora Megna – ma cercava di giustificarsi e di tornare amici perché nel frattempo si era fidanzato con la prima cugina di mia cognata». E, infine, spiega ancora Megna: «Dissi ad Alfonso che, prima di fare pace, doveva andare da sua madre Franca Mancuso e da suo zio Mico Nihji e vedere cosa gli dicevano, poiché per me, più che un’amicizia, un saluto poteva anche esserci». «Al suo ritorno, Alfonso disse che suo zio e sua madre gli avevano riferito che l’importante era che non succedessero più queste cose, come se volessero far capire che non avevano mai avuto a che fare con tutti i danneggiamenti e con gli episodi successi alla mia famiglia, mentre in realtà erano proprio loro gli artefici». (g.curcio@corrierecal.it)

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