‘Ndrangheta, il pestaggio a colpi d’accetta e i propositi (svaniti) di guerra dei Pinto. «Non abbiamo uomini»
Un debito non onorato da terze persone, forse un pugno dopo una minaccia. Dal rischio escalation alla soluzione diplomatica

CATANZARO Un “incidente domestico” causato dalla caduta di un forno elettrico. È così che ai medici del “Pugliese-Ciaccio” di Catanzaro una coppia di coniugi giustificava la visita al pronto soccorso. Il referto parlava di «ferite lacero-contuse ad entrambi gli arti inferiori ed un trauma cranico, non commotivo, con ferita al cuoio capelluto». Peccato che quelle ferite fossero state causate, in realtà, da una brutale aggressione avvenuta nella propria abitazione. È il 24 luglio del 2021 e le vittime, Manuel Pinto e la moglie, non sono obiettivi qualunque, come è poi emerso dall’inchiesta della Distrettuale antimafia di Catanzaro che ha portato all’arresto di 22 soggetti. Tra loro c’è proprio Manuel Pinto (cl. ’97), considerato dagli inquirenti un «elemento del clan di Gagliano», pronto ad operare «sotto le direttive del vertice».
Pinto «garante» per terze persone
I dettagli, infatti, emergeranno man mano dalle intercettazioni avviate a partire dal 28 luglio, all’interno dell’abitazione occupata proprio da Manuel Pinto e dal proprio nucleo familiare, «allo scopo di accertare il ruolo di quest’ultimo in seno alla criminalità catanzarese». Dalla ricostruzione dei dialoghi, dunque, emerge che Pinto avesse subito in casa un’aggressione da parte di alcuni noti pregiudicati, tra cui Andrea Doria (cl. ’71), soggetto considerato ai vertici dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta Doria-Critelli, e Igor Guarino (cl. ’85), entrambi indagati nell’inchiesta “Clean Money” della Dda.
In buona sostanza, Pinto «aveva garantito con terze persone» che un suo amico avrebbe saldato un debito, poi non onorato, scatenando l’ira dei creditori che mettevano in atto una vera e propria spedizione punitiva. Un’aggressione violenta, al punto che la donna, come racconterà al suocero, avrebbe incassato un’accettata.
Il pugno sospetto
Nei giorni successivi, come ricostruito dagli inquirenti, Pinto si adopera per capirne di più e risalire agli assalitori, contando anche sull’appoggio del padre, Enrico (cl. ’72) tra gli indagati. Ma non solo. Dalle intercettazioni, infatti, sarebbe emerso quello che era il “peccato originale”: Pinto e il padre facevano riferimento ad un’autovettura di «quell’altro», da ritenersi Alberto Panucci (cl. ’85) ed al motivo della conseguente aggressione, ovvero un pugno che Manuel Pinto «aveva sferrato al soggetto che lo aveva minacciato in casa sua», il quale poi era andato a chiedere l’intervento dello zio, Andrea Doria per l’appunto.
Il dubbio dei due Pinto, a questo punto, era come uscire da questo vicolo cieco: a testa alta, ma senza scatenare una guerra che avrebbe potuto portare anche ad un omicidio. Manuel Pinto, infatti, in più di un’occasione spiega al padre di essere «pronto a prendere un Kalashnikov».
Niente uomini, nessun commando
Ma la soluzione “diplomatica” sembrava quella più probabile, sebbene lo stesso Manuel Pinto non volesse «chiarire nulla» anche perché, ribadisce ancora al padre, per far comprendere all’aggressore di aver sbagliato, «avrebbe dovuto mettere una pistola in bocca e sparare». Ai propositi di vendetta del padre, Manuel Pinto risponde con una lucida presa di coscienza: nessun agguato mortale poteva compiersi per la mancanza di uomini per formare un commando, «non avendo la disponibilità di 5 o 6 uomini pronti per sparare» mentre il padre si diceva convinto che, in fondo, bastavano due pistole in tasca e «bussare al campanello», proprio come era accaduto anni fa ad un altro soggetto di elevata caratura criminale del comprensorio, Pietro Cosimo detto “Pierino”, ucciso secondo loro «in quanto tutti avevano paura di lui ed aveva fatto troppo “abuso di potere”».
La “vittoria” della diplomazia
La vicenda si evolve nei mesi successivi fino a quando, è ormai dicembre, il padre non racconta a Manuel Pinto di aver parlato con il fratello di Doria, residente a Milano, che Io aveva chiamato in «lacrime», palesando la «sua vicinanza» e «scusandosi per l’aggressione subita in casa da suo figlio ad opera di suo fratello» che, proprio durante la conversazione, aveva definito «un uomo di merda», in quanto sì era permesso di agire in quel modo in presenza di bambini. Una storia che non sembra però convincere Manuel Pinto, ritenendola una «farsa» messa in atto solo «per sondare il terreno» e capire dunque se la situazione «fosse tranquilla». A chiudere la questione, senza scatenare reazioni, ci pensava definitivamente il padre dopo aver dato la sua parola a Doria, convincendo il figlio a non intraprendere alcuna iniziativa perché «gli uomini quando dicono una parola, è quella». (g.curcio@corrierecal.it)
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