LAMEZIA TERME Il suo è stato un nome di assoluto rilievo nel narcotraffico internazionale tra il Sud America e l’Italia, con particolare riferimento al porto di Livorno, ma non solo. Le sue dichiarazioni, infatti, hanno ampliato l’interesse anche su un altro porto: quello di Catania. Classe 1984, nato a Cercola, è considerato «referente della ‘ndrina Molè», collaborando all’occorrenza con soggetto «recuperatori» albanesi ma anche quali aderenti alla Sacra Corona Unita foggiana. È l’identikit del collaboratore di giustizia Errico D’Ambrosio. Le risultanze investigative recenti raccontano di un soggetto che avrebbe agito «in diretto contatto con Ernesto Madaffari, a capo della ’ndrina Molè». La Distrettuale antimafia di Firenze lo ha accusato di aver «esfiltrato la cocaina dal porto di Livorno, acquistata in Sud America in sinergia operativa tra esponenti della criminalità organizzata italiana e quelli della criminalità organizzata albanese».
A proposito del rapporto tra D’Ambrosio e i Molè, sarebbe emerso che il primo, dopo la sua uscita dal carcere, si era trasferito a Napoli sotto la “protezione” della famiglia Amato Pagano, con l’assenso della ‘ndrina Molè, con la quale avviava traffici di stupefacente, rapportandosi con il reggente Antonio Pompilio. Il suo nome è emerso, ora, dalla nuova inchiesta della Dda di Catania incentrata ancora una volta sul traffico di cocaina e i presunti collegamenti con la ‘ndrangheta calabrese. Gli inquirenti hanno acquisito le sue dichiarazioni rese il 28 marzo 2024, in merito alle responsabilità di Angelo Sanfilippo e degli altri indagati, nell’attività di importazione dall’estero al porto di Catania e la successiva esfiltrazione dell’ingente quantitativo di cocaina.
D’Ambrosio, inoltre, ha lavorato anche con gli Amato-Pagano della camorra, e ha parlato di numerosi broker di droga, a cominciare da Raffaele Imperiale e del suo braccio destro Bruno Carbone, fornendo elementi cruciali sul clan degli (ormai ex) “scissionisti”.
«La mia famiglia di appartenenza in Calabria è la cosca Molè. Nel maggio 2022 venni contattato per risolvere un problema in merito all’esfiltrazione di una partita di cocaina in arrivo al porto di Catania, pari a circa 106 kg», ha raccontato D’Ambrosio. In particolare, fui contattato da «(…) e da tale Paco che conosco come Giuseppe Curciarello di Siderno. Mi recai subito a Catania a bordo di una 500 X bianca noleggiata…». Il pentito ha poi raccontato ancora ai pm: «Dopo il mio arrivo a Catania, il sabato sera precedente al sequestro della partita di sostanza stupefacente che tentavo di recuperare, io e Paco – Giuseppe Curciarello ndr – siamo entrati al porto di Catania, all’interno della quale ricordo che vi è una discoteca. Nino Vasta venne insieme a tale Angelo a bordo di un’altra autovettura e detto “Angelo” ci consentì di entrare al porto perché riuscì a fare alzare la barra di accesso interloquendo con il soggetto addetto alla sicurezza». Questo Angelo «aveva rapporti con il papà di una persona che lavorava all’interno del porto e che aveva un ruolo collegato al recupero della sostanza stupefacente in parola». Il riferimento, in questo caso, è ai due Angelo Sanfilippo e Melino Sanfilippo, entrambi arrestati nel blitz catanese. «Il problema era legato alla lamiera del tetto del container all’interno del quale era stata occultata la sostanza stupefacente e che si era dissaldata: fu messo del nastro adesivo per tenere la lamiera abbassata. Io mi irritai perché questo espediente avrebbe potuto rendere pericolosa l’esfiltrazione della sostanza stupefacente». E così poi è stato: la sostanza stupefacente non fu poi recuperata per via del sequestro effettuato dalla Guardia di Finanza. «Curciarello – ha raccontato ancora D’Ambrosio – mi disse che il carico in questione era destinato ai Mussi, i Laudani, soggetti considerati molto seri e in grado di onorare gli impegni economici. Non so però precisare a quale gruppo in particolare, territorialmente parlando, fosse destinato».
Le dichiarazioni del pentito Errico D’Ambrosio, sono state decisive anche per l’avanzamento delle indagini della Guardia di Finanza di Pisa. Il classe ’84 aveva iniziato a collaborare con i pm toscani il 2 febbraio 2024. Ha ammesso di aver ricoperto il grado di “Vangelo” nella famiglia Molè e non solo ha confermato di aver partecipato, nel 2022, a due operazioni, rivelatesi infruttuose, di esfiltrazione di cocaina dal porto di Livorno, ma ha permesso anche di individuare i finanziatori delle importazioni e la platea dei soggetti coinvolti nelle articolate attività di recupero della cocaina dal porto di Livorno come era già emerso dalle indagini della Guardia di Finanza. Le indagini avevano svelato qualche mese fa l’utilizzo di sofisticati dispositivi di comunicazione criptati, tra cui criptofonini israeliani, per le conversazioni tra i boss e gli emissari. Questi dispositivi, acquistati in Spagna al prezzo di 5.000 euro ciascuno, venivano usati per coordinare le operazioni di esfiltrazione della droga nel porto toscano, sempre secondo D’Ambrosio. (g.curcio@corrierecal.it)
x
x