L’omicidio del giudice Scopelliti, l’ombra del patto ‘ndrangheta-Cosa Nostra e i nuovi rilievi per fare luce dopo 34 anni
La ricostruzione dell’agguato con l’auto del giudice, la riproduzione dell’arma e della moto. La figlia: «Nuove indagini che risvegliano la speranza»

REGGIO CALABRIA Due colpi di fucile misero fine alla vita di Antonino Scopelliti a soli 56 anni. Era il 9 agosto 1991, quando il magistrato reggino venne ucciso mentre stava rientrando a casa dal mare, a Piale, frazione di Villa San Giovanni. A distanza di 34 anni le indagini vanno avanti per cercare di fare luce su un fatto di sangue che potrebbe essere il frutto di una commistione di interessi tra ‘ndrangheta e Cosa nostra. Nuove indagini, coordinate dal Procuratore della Repubblica f.f. di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, che potrebbero portare finalmente a una svolta: questa mattina la Polizia è tornata sul luogo del delitto per nuovi rilievi scientifici, a seguito di una serie di verifiche su documenti e di accertamenti balistici effettuati sull’arma ritrovata in Sicilia nel 2018.
L’agguato
Fu un agguato studiato nei minimi particolari: dagli spostamenti del giudice alla strada da percorrere per assicurarsi di colpirlo nel posto più isolato possibile. Quando tornava a Campo Calabro, suo paese di origine, Scopelliti si sentiva al sicuro e così tranquillo da girare senza scorta. E così, alle 17.21 di un pomeriggio d’estate, il giudice reggino,viene seguito da due uomini a bordo di una moto che velocemente si dileguano senza lasciare traccia, dopo avergli esploso contro colpi di fucile. Colpito alla nuca, Scopelliti perse il controllo della sua Bmw andando a finire in una scarpata.

Il legame tra ‘ndrangheta e Cosa nostra
L’omicidio del giudice fin da subito fu avvolto nel mistero. Le ipotesi fatte inizialmente furono le più svariate, dall’incidente stradale all’omicidio passionale, ma ben presto si capì che la sua uccisione poteva avere spiegazioni ben più complesse.
Scopelliti rappresentava la pubblica accusa, nell’ultimo grado di giudizio, al maxiprocesso contro Cosa nostra istituito dal pool antimafia di cui facevano parte anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Tra le ipotesi c’è quella che attraverso l’uccisione del pubblico ministero si potessero far scadere i termini di custodia cautelare degli imputati, oppure ritardare la condanna. Tutte circostanze che non avvennero. Antonino Scopelliti fu anche destinatario di tentativi di corruzione, qualcuno gli offrì 5 milioni di lire, ma lui rifiutò.
L’omicidio del giudice Scopelliti – raccontarono da alcuni collaboratori di giustizia – fu un favore che Cosa nostra chiese alla ‘ndrangheta. L’organizzazione criminale calabrese a sua volta chiese un intervento ai siciliani per far cessare la seconda guerra di ‘ndrangheta che dal 1985 insanguinava le strade di Reggio Calabria. «Un patto di sangue» dopo il quale la ‘ndrangheta «ritrova la pace dopo sei anni di guerra». Certo è che dei legami tra le due organizzazioni criminali c’è molto più di una semplice traccia. Sono diversi e stretti i collegamenti. Tanti gli interessi in comune, tante le strade che sembrano condurre sempre nella stessa direzione. Una commistione di intenti, miccia e innesco di un progetto stragista, fulcro dell’inchiesta “‘Ndrangheta stragista”, che in riva allo Stretto si propone di riscrivere un pezzo di storia d’Italia
34 anni di indagini
Per l’omicidio di Scopelliti furono istruiti e celebrati presso il tribunale di Reggio Calabria due processi: uno contro Salvatore Riina, Bernardo Brusca, Pietro Aglieri, Giuseppe Calò, Antonino Geraci, Salvatore Buscemi, Salvatore Montalto e Giuseppe Lucchese; il secondo procedimento contro Bernardo Provenzano, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, Raffaele Ganci, Giuseppe Farinella, Antonino Giuffrè, Giuseppe “Piddu” Madonia, Benedetto Spera, Mariano Agate e Nitto Santapaola. Furono tutti condannati in primo grado rispettivamente nel 1996 e nel 1998 e poi tutti assolti in Corte d’Appello nel 1998 e nel 2000 perché le accuse dei diciassette collaboratori di giustizia (cui si aggiunsero in un secondo momento quelle del boss Giovanni Brusca) vennero giudicate discordanti. L’11 luglio 2012, nel corso di un’udienza del processo Meta contro la ‘ndrangheta a Reggio Calabria, il pentito della cosca De Stefano, Antonino Fiume, disse che a uccidere il giudice sarebbero stati due reggini su richiesta di Cosa nostra, senza però fare i nomi dei killer. Nel 2019 il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, riaprì l’inchiesta a seguito di nuove rivelazioni del collaboratore di giustizia catanese Maurizio Avola, che ha consentito di ritrovare alcune armi che, a suo dire, sarebbero state usate nell’omicidio, e risultarono iscritti nel registro degli indagati esponenti di Cosa Nostra e della ‘ndrangheta come mandanti ed esecutori materiali: i siciliani Matteo Messina Denaro, Marcello D’Agata, Aldo Ercolano, Eugenio Galea, Vincenzo Salvatore Santapaola, Francesco Romeo, lo stesso Avola e i calabresi Santo Araniti, Pasquale Bertuca, Vincenzo Bertuca, Giorgio De Stefano, Gino Molinetti, Antonino Pesce, Giuseppe Piromalli, Giovanni e Pasquale Tegano e Vincenzo Zito.
Nei prossimi giorni l’informativa sui rilievi

Si attende adesso l’esito dei nuovi rilievi effettuati con l’auto del giudice che la polizia scientifica ha riportato sul luogo del delitto, e avvenuta anche con una riproduzione dell’arma utilizzata dai killer, una doppietta Arrizabalà calibro 12 di fabbricazione spagnola, e una moto di grossa cilindrata uguale a quella del delitto, un’Honda Gold Wing. Una ricostruzione eseguita con nuove tecniche investigative, mai fatta prima per indagare sul caso, che potrebbe finalmente fare luce su un mistero lungo 34 anni. Le indagini sul caso sono, ed eseguite dalla Polizia di Stato.
La figlia: «Nuove indagini che risvegliano la speranza»
“Quello che stiamo apprendendo in queste ore è sicuramente importante e risveglia una speranza, che non essendo mai sopita, negli ultimi anni aveva iniziato a vacillare”, ha dichiarato all’Agi Rosanna Scopelliti, unica figlia del giudice. Rosanna Scopelliti, già parlamentare del PdL nel 2013 ed ex assessore alla Cultura nel Comune di Reggio Calabria dal 2020 al 2021, afferma inoltre di essere “in attesa con cauto ottimismo di ciò che sarà il prosieguo delle indagini. Siamo accanto alle donne e agli uomini della magistratura e alle donne e gli uomini delle forze dell’ordine che stanno lavorando su questo caso. Confidiamo in loro e affidiamo loro la massima fiducia per il lavoro che stanno portando avanti sicuramente”.
Falcomatà: «Una ferita ancora aperta»
“L’attività della Direzione distrettuale antimafia con i rilievi effettuati dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria e dalla Polizia Scientifica è una notizia positiva che riaccende i riflettori e le speranze di un’intera comunità su un tragico fatto di sangue come l’omicidio del Giudice Antonino Scopelliti, un evento che ha segnato per sempre la storia del nostro territorio”. E’ quanto dichiara il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà. “Il nostro auspicio è che le indagini in corso possano portare a fare luce, in maniera definitiva, sulla tragedia che 34 anni fa ha colpito la famiglia Scopelliti e l’Italia intera. Che siano individuati gli esecutori ed i mandanti di un delitto ancora purtroppo rimasto insoluto, per il quale da decenni ormai chiediamo giustizia e verità. La nostra vicinanza va a Rosanna e a tutti i familiari del nostro Nino Scopelliti. Ogni anno il 9 di agosto partecipiamo all’anniversario della sua morte con un peso del cuore, perché dopo più di tre decenni ormai le parole non bastano più. La nostra speranza, alimentata dal riavvio del lavoro della Procura antimafia, è che presto possa essere scritta una parola definitiva su una ferita che purtroppo risulta ancora aperta”.
(m.r.)
Il Corriere della Calabria è anche su Whatsapp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato