Bocchigliero non si arrende: “1000 Papaveri Rossi” per restare
Un gruppo di giovani ha dato vita a un movimento che raccoglie l’eredità culturale della “Restanza” e rilancia la sfida dei piccoli paesi

Ho ricevuto, il 28 aprile 2025, questa mail, che mi ha toccato e commosso non poco:
“Buona sera Prof. Teti, sono Davide Filippelli, un Suo lettore e grande estimatore.
Vorrei informarla che lo scorso 25 aprile, a Bocchigliero, nel cuore della Sila Greca, io ed un gruppo di amici abbiamo costruito un movimento, chiamato 1000 Papaveri Rossi, per la rinascita delle aree interne. Ho sentito il dovere di scriverle perché Lei è, idealmente, il Padre Costituente di questo movimento. Le sue idee sono state la nostra fonte di ispirazione. La ringrazio per l’ attenzione e le porgo un cordiale saluto”.
Pubblico questa mail, su autorizzazione di Davide, che mi ha scritto, con non poca emozione. Sentire che sono “il Padre Costituente” (senza, in realtà, non avere fatto nulla) di questo nuovo movimento che nasce in un paese della Calabria mi riempie, comunque, di gioia e di speranza. Corro il rischio dell’autoesaltazione, o autocelebrazione, ma chi mi conosce e mi legge ha ben compreso che con “La Restanza” non ho cercato di raccontare soltanto una vicenda personale, ma ho inteso occuparmi di quelli che restano, di dare una parola e una voce a migliaia e migliaia di giovani che, sia che partano, sia che restano, sia che tornano, vivono con un crogiolo di emozioni, lacerazioni, nostalgie, contraddizioni, sentimenti, speranza un legame mai interrotto con il mondo di origine. Da quando è uscita la “restanza” il termine è passato nei dizionari, nella letteratura, nel cinema, nell’arte, nel teatro e soprattutto nelle scelte e nelle pratiche di migliaia di associazioni, movimenti, gruppi delle aree interne dell’Italia (e non solo) che si sentono impegnati a evitare lo spopolamento dei loro luoghi, a stabilire un nuovo patto con i paesi, a diventare protagonisti di mutamenti radicali, innovativi, aperti. Mi toccano il cuore le lettere e le mail che, a migliaia, ricevo da ogni parte d’Italia, dove vengo ringraziato, salutato con stima ed effetto, da persone che, a livello individuale o collettivo, operano per un nuovo senso dei luoghi, per “rigenerare” i paesi, per alimentare la speranza. Qualche frettoloso accademico, che non conosce i paesi e non sa che restare significa soprattutto cambiare, viaggiare, spostarsi, incontrare l’altro, essere cittadino attivo, si era preoccupato di ridurre la mia ricerca, le mie, analisi, le mie speranze a “racconto autobiografico” di chi è “afflitto da rapporti esistenziali” e temeva che le mie parole avrebbero potuto, addirittura, “nuocere” al Sud, magari fomentando la “creazione di eroi”. I privilegiati delle doppie e triple case, non capiscono il bisogno di casa, di presenza, di abitare delle ragazze e dei ragazzi del Sud, che, spesso malvolentieri, continuano a lasciare la propria terra. Più che analisti abbiamo “nuovi predicatori” che, come il buon frate del Convento, che si era abbuffato di frittole e carne di maiale, andava in giro a predicare ad ascoltatori affamati che “tutto il mondo è frittole”. Non ha nociuto al Sud, questa parola (che certo, a volte, può essere usata come uno slogan, come una scorciatoia, come una parolina magica per operazioni interessate) ha contagiato e influenzato miglia di persone e alimentato speranze in quei paesi, dove ogni giorno, nascono Associazioni della Restanza, cammini della Restanza, Festival della Restanza ecc. e migliaia e migliaia di circoli e movimenti, con nomi belli e fantasiosi, che stanno trasformando il “restare” in progetto, in scelta per continuare, in maniera nuova la “questione meridionale”, in lotta politica per i diritti alla salute, alla scuola, alla socialità, alle strade, a un territorio abitabile, in movimento culturale diffuso che, sia pure tra tante difficoltà, cerca di creare collegamenti, fare rete, sollecitare la Politica. La parola (restanza in italiano) è ormai diffusa e adottata in Canada, in Irlanda, in Francia, in Belgio, in Grecia e racconta storie di opposizione e di resistenza, antagoniste. La “restanza” (piaccia o no il termine) diventa progetto culturale, politico, morale. E spesso tutto avviene senza esibizioni, in silenzio con discrezione. Le nuove generazioni non vogliono apparire, la loro visibilità e soddisfazione consistono nel “fare” per il luogo in cui vivono, da curare e da amare. Questo grande movimento purtroppo non viene capito o intercettato dai gruppi dirigenti, da tanta politica, di ogni colore, da studiosi e da operatori culturali. La Calabria e il Sud vengono raccontati ancora con stereotipi antichi, senza essere ascoltati, senza analisi approfondite e la conoscenza dei nostri paesi e delle nostre città risale a quanto era stato fatto negli anni Settanta-Ottanta del Novecento. Da allora tutto è cambiato, tutto è mutato, a livello globale e a livello locale, e le nuove narrazioni, presunte tali, in realtà danno per vivo un mondo morto da decenni, alimentano retoriche e mitologie, fanno fuggire dal presente. Manca uno sguardo incisivo e curioso, attento, fatto di ricerche pazienti, per poter capire cosa sono diventati questi luoghi “rarefatti”, per vedere cosa significa operare nel vuoto o anche che nuove relazioni, nuove forme espressive, nuove attività di resistenza si vanno affermando anche nonostante la politica. Forse indagando in questo profondo vuoto che provoca dolore, malessere, spaesamento, voglia di fuggire si potrebbero trovare nuove forme di presenza, voglia di resistere, bisogno di andare avanti e di sperare. La “disperazione”, che ci avvolge è ben visibile, ma la “speranza” di chi non si rassegna, lotta, crea nuovi luoghi, elabora nuovi saperi, inventa nuove produzioni, umanizza i non luoghi e i non più luoghi, questa “speranza” non trova ascolto, non ha udienza, è scomoda perché afferma che “non tutto è accaduto” e che avremmo molte cose da fare, mollo mondo nuovo da cercare e da inventare. Non sarà facile, la crisi demografica, la fuga dei giovani ci consegnano per il futuro un quadro drammatico, ma le domande sono: “Che facciamo? Acceleriamo la morte dei paesi o resistiamo? Pratichiamo l’eutanasia e un accanimento terapeutico ho mettiamo in movimento energie, fantasie, voglia di “restare” per cambiare, finalmente, le cose? La Calabria “rinuncia”, come diceva Alvaro dell’Italia postbellica, o invece “rilancia”, riguarda la sua storia e le sue bellezze, si sente erede delle donne che costruivano un nuovo mondo quando i mariti emigravano e si sente erede di braccianti, contadini, quelli che occupavano le terre, di emigrati, dei loro figli che, per la prima volta, hanno avuto accesso ai saperi.
E allora, ragazze e ragazzi di Bocchigliero, paese di montagna bello e accogliente, che si sta spopolando, paese che ho frequentato e amato, grazie. Quello che farete è frutto di una vostra scelta, di una vostra lotta, di una capacità di immaginare il futuro. Che dieci, cento, mille, un milione di Papaveri Rossi nascano nel Sud e nei paesi vuoti del Nord. Torniamo nelle terre, ridiamo loro un senso, riorganizziamo la memoria, i mestieri, le pratiche artigiane e alimentari. Adoperiamo i nuovi mezzi espressivi. Accettiamo la sfida di Gaia e dell’Ia. Che la festa, la lotta, il futuro comincinogià nel presente. Il presente oggi, come lo viviamo, è il Futuro (come dice una mia cara sorella e amica Isabella Cecchi).

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