La droga a Scilla, lo smercio in Sicilia: il business del clan Nasone-Gaietti
Nelle motivazioni del processo “Lampetra” i dialoghi intercettati in cui si parla dei ricavi.«Pure che la vendi a un euro, 100 chili sono 100mila euro»

REGGIO CALABRIA «Appena esce il sole, sai quanto si fanno? Deve fare caldo! Caldo e caldo». Dialoghi intercettati in cui si parlava della crescita della piantagione di canapa indiana ubicata nei pressi di un terreno in località Santo Stefano di Scilla. Piantagione di cui si occupava l’associazione smantellata con l’inchiesta “Lampetra” della Dda di Reggio Calabria, composta da Carmelo Cimarosa, Angelo Carina, Silvio Emanuele e Francesco Cimarosa, e da una rete di spacciatori al dettaglio e di fornitori all’ingrosso, operante nell’alveo dell’articolazione territoriale di ‘ndrangheta dominante nel comune di Scilla e nei comuni limitrofi, denominata cosca Nasone-Gaietti, le cui figure di rilievo risultavano essere quelle di Carmelo Cimarosa e di Angelo Carina. I dettagli di come la rete criminale aveva organizzato lo spaccio nei territori della Costa Viola emerge nelle motivazioni della sentenza emessa in appello.
La piantagione
«Plurimi, chiari ed espliciti – scrivono i giudici – sono i riferimenti rinvenibili nelle conversazioni captate alle attività di coltivazione». Il gruppo aveva predisposto mezzi e cautele «necessarie ad evitare che i movimenti intorno al sito attirassero l’attenzione delle forze dell’ordine». Nelle conversazioni intercettate si fa riferimento poi alle «caratteristiche della piantagione (il numero delle piante e il quantitativo di raccolto), ai soggetti coinvolti e alla suddivisione dei ruoli, dei compiti e dei profitti, nonché alle rimostranze in merito espresse da parte di alcuni».
Attività d’indagine ulteriormente corroborate dagli esiti dei servizi di osservazione effettuati dallo Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria e dall’arresto in flagranza di reato dei fratelli Silvio Emanuele e Francesco Cimarosa, e dal sequestro di 70 piante di marijuana di altezza compresa tra i 30 e i 120 centimetri e di altre105 piante di piccole dimensioni e occultate tra la vegetazione spontanea.
Gli affari in Sicilia e le quote da spartire
Il gruppo parlava anche delle «prospettive di futura commercializzazione della sostanza prodotta nel mercato siciliano e al trasporto in Sicilia, della purezza del principio THC contenuto nella droga prodotta, oltre che ai margini di guadagno». In una intercettazione in particolare – rilevano i giudici – mentre Carmelo Cimarosa affermava che una parte del ricavato della sostanza stupefacente sarebbe andato ad Angelo Carina, Francesco Cimarosa sosteneva che la piantagione avrebbe consentito ai soggetti che stavano contribuendo alla sua realizzazione di ottenere tra i 20mila e i 30mila euro a testa; a loro tre sarebbero toccati circa 60mila euro e, quindi, tre quote da 20mila euro ciascuno, così come ad Antonio Alvaro, Francesco e Natale Vitalone sarebbero toccate le medesime quote. «Pure che la vendi a un euro, cento chili sono centomila euro! O no?». (m.ripolo@corrierecal.it)
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