Musica e ‘ndrangheta: i concerti annullati e il mito «dell’onorata società» su TikTok
Esibizioni annullate e polemiche che puntualmente ritornano. Intanto le canzoni con richiami alla criminalità organizzata diventano virali

«Io cateni non ndi vojju, appartengo all’onorata società». Il “jingle” dal ritmo tarantellante è virale su TikTok: l’audio in pochi giorni raggiunge centinaia di riproduzioni e migliaia di visualizzazioni. L’espressione onorata società, soprattutto in un contesto di parole che rimandano a “catene” e “carabinieri”, non lascia molto spazio a interpretazioni: il richiamo è all’ambiente della criminalità organizzata, a quei “valori” e simboli che sono ormai radicati nella (anti)cultura ‘ndranghetista. E non è l’unica canzone virale sui social e cantata anche dai più giovani, sempre con riferimenti alla simbologia e alle leggende tramandate nella criminalità: c’è chi lo chiama semplice “folklore” e tradizionalismo calabrese, chi la denuncia come musica inneggiante alla ‘ndrangheta. Polemiche che si ripercuotono anche nella realtà con sindaci e questori che arrivano a vietare i concerti di chi nei testi fa espliciti riferimenti alla criminalità organizzata.
I concerti annullati di recente
Due episodi in pochi giorni: prima il concerto di Samuele Nisi “bloccato” ad Anoia, in provincia di Reggio Calabria, dal sindaco Alessandro De Marzo, poi quello di Teresa Merante a Grotteria. Entrambi accusati di fare musica o video che strizzano l’occhio alla criminalità. Se per Nisi, giovane “trapper” che si è costruito su TikTok, è una recente conseguenza ai suoi video girati con parenti della criminalità organizzata, in cui attaccherebbe pentiti e magistrati, non è una novità nel dibattito sul tema il nome di Teresa Merante. La cantante calabrese già in passato era finito al centro delle polemiche per i suoi testi, tra cui “u latitanti” (un’altra canzone virale sui social). «Le mie canzoni raccontano la tradizione, non simpatizzo per la ‘ndrangheta» si era difesa lei qualche anno fa. Anche il cantante neomelodico Andrea Zeta, figlio di un presunto boss catanese, era stato “bloccato” dalla Questura di Vibo per un suo concerto a Limbadi, con conseguente sfogo social del cantante. Diversi concerti annullati anche per Niko Pandetta, nipote del boss “Turi cappello”, e pochi giorni fa “beccato” con telefoni nel carcere di Rossano, dove è ristretto dal 2022.
Le canzoni spopolano sui social
Parentele scomode e video discutibili, ma sono soprattutto i testi a far levare le polemiche. Per alcuni si tratta solamente di folklore, di simbologia e usi ormai remoti per la criminalità organizzata. Regole d’omertà e storie di sangue e di vendetta che sarebbero lontane dalla realtà di una ‘ndrangheta mutata, meno arcaica e più moderna. I canti della malavita calabrese hanno una storia musicale risalente allo scorso secolo, diffuse poi nel “popolare”. Ma le canzoni di “tradizione” tramandate negli anni stanno tornando in voga con i social: così su TikTok e Youtube spopolano “Canti di Malavita”, “’Ndrangheta 1,2,3,4”, riferimenti ai simboli religiosi ‘ndranghetisti, all’onore, al rispetto e insulti ai pentiti. Le musiche fanno da colonna sonora ad altrettante foto o video che richiamano simboli ‘ndranghetisti, come San Michele Arcangelo o la montagna di Polsi. In alcuni casi anche di foto di rinomati boss calabresi. Il rischio che da tradizione diventi un vero e proprio viatico per la cultura criminale, soprattutto tra i giovani, date anche le inchieste recenti da cui è emerso come la ‘ndrangheta non abbia perso del tutto quei riti e la simbologia arcaica. Che i social proliferino di video e canzoni inneggianti alla criminalità ne sono ben consapevoli e le procure e la piattaforma, che – parola di Gratteri – aveva istituito una task force per bloccarne la diffusione. Anche su Youtube le playlist dedicate alla ‘ndrangheta arrivo a “macinare” decine di migliaia di visualizzazioni. Un fenomeno difficile da arginare nello sconfinato mondo virtuale. (ma.ru.)
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